Fleabag – Come amare un prete ed essere ricambiate

Perdonatemi, lo so, un titolo del genere è molto riduttivo, e ora che siete qui potrei anche dirvi che forse non è nemmeno del tutto vero, vi voglio lasciare il dubbio perché dovete scoprirlo guardando questo capolavoro. Capolavoro tragicomico, con sfumato di black humor, ideato da quella pazza di Phoebe Waller-Bridge, che volenti o nolenti avete già visto all’opera: ha creato una prima serie intitolata Crashing (in cui si può apprezzare già lo stile di Fleabag, ma in maniera più acerba); attualmente sta lavorando su Killing Eve; ha dato la voce a L3-37 in Solo: A Star Wars Story; ha partecipato qua e là in opere di livello come Broadchurch e The Iron Lady; recentemente l’abbiamo vista insieme a Harry Styles nel video di Treat People With Kindness; infine è stata una degli scrittori di 007 – No Time to Die, insieme a Cary Fukanaga (ideatore e regista di Maniac – Come affrontare il dolore senza droghe che abbiamo visto in un altro articolo). A questo aggiungo che nel 2022 interpreterà Jane Smith nella serie Mr. e Mrs. Smith basata sull’omonimo film ormai storico.

FLEABAG

La serie inizialmente non era concepita in due stagioni, anzi, non era proprio concepita come serie. L’idea di Fleabag si narra che sia nata da una sfida che un amico di Phobe le ha lanciato, sfidandola appunto a creare un personaggio da rappresentare in un pezzo di stand-up comedy. Su questo personaggio Phoebe hai poi basato uno spettacolo teatrale (sul quale si basa a sua volta la prima stagione), che le è valso un Fringe First Award. E la serie, secondo i piani di Phoebe, sarebbe dovuta finire lì, ma come ha spiegato poi si è resa conto che la storia avrebbe meritato un continuo, continuo che le ha dato con una seconda stagione fatta uscire a tre anni di distanza.

Per farvi capire quanto sia stata importante quesa serie, prima di raccontarvi a grandi linee la trama, andiamo a vedere i premi ottenuti. Già la prima stagione ha fatto razzia di nomination e vittorie, tra le quali anche un BAFTA come miglior attrice protagonista; ma l’esplosione del successo è giunta con la seconda stagione che, oltre a tutti i premi già vinti con la prima stagione, è valsa ben 11 nomination agli Emmy con ben 6 vittorie, e 2 vittorie su 3 nomination ai Golden Globes.

LINGUA ORIGINALE O ITALIANO?

Mi rendo conto che adesso le aspettative sono alte, ma ne prendo la piena responsabilità, vedrete che non rimarete delusi. A patto però che la guardiate in lingua originale. Non voglio sembrare uno di quegli hipster con la puzza sotto il naso che guarda dall’alto in basso chi non guarda i film di Kusturica, e in lingua originale per giunta; ma in questo caso il suggerimento di guardare la serie in inglese lo devo fare, e vi spiego anche il perché. Phoebe è un’attrice incredibile, e per la particolarità del personaggio (punto cardine della serie in quanto protagonista) non è stato facile doppiarla. Se in lingua originale abbiamo un personaggio brillante, cinico ma incredibilmente divertente; in italiano rimarremo con una semplice spocchiosa. A questo va aggiunto il british humor intrinseco nel modo di parlare dei personaggi, altro dettaglio “lost in translation”. Quindi fidatevi, guardatela in lingua originale.

TRAMA

Veniamo a noi. Fleabag, il nome della protagonista, parla di una ragazza londinese alle prese con la vita e le sue difficoltà, come tutti noi. A questo però viene aggiunto un trauma irrisolto e una disinibizione spiccata per quanto riguarda il sesso, elementi che fanno da motore per la trama. Esatto, avete già capito che l’entrata in scena di un prete affascinante (Andrew Scott) diventerà un problema. Torniamo indietro però, non vedremo Anrew fino alla seconda stagione. La prima stagione, solo apparentemente incentrata maggiormente su sketch comici che sulla trama, mostra l’ambiente e i problemi in cui Fleabag deve navigare; abbiamo una sorella più grande (Sian Clifford) completamente realizzata ma altrettanto stressata dalla vita e dalla famiglia che ha costruito col marito (Brett Gelman); un padre apatico (Bill Paterson), che sembra non avere molta confidenza con le proprie figlie e che ha trovato una nuova compagna (niente meno che Olivia Colman) dopo la morte della moglie, nonché madre delle figlie.

La seconda stagione in fatto di contenuti non cambia molto, matura ogni aspetto della prima. Ma anche in questo caso mi devo fermare perché non voglio anticipare nessun dettaglio. Ancora però non mi sento di aver risposto alla domanda “perché dovrei guardare questa serie?”, quindi aggiungerò un altro tassello al mosaico.

LA QUARTA PARETE

Phoebe si rivolgerà spesso a noi spettatori, rendendoci di fatto un personaggio implicito della serie. E come Kevin Spacey in House of Cards usa questo stratagemma per raccontarci quali sono i suoi pensieri, Phoebe lo usa magistralmente per aggiungere humor e momenti ilari a situazioni che ne richiedono la totale assensa.

A questo va aggiunta anche l’impeccabile scrittura della trama, che inserisce tutti i dettagli nel posto giusto, e trova sempre l’escamotage migliore per raccontare un avvenimento. Insomma Fleabag è uno di quei grandi capolavori he vanno assolutamente visti almeno una volta nella vita; nel suo genere, ma potremmo parlare in generale, è qualcosa di mai visto e infatti la critica ne ha riconosciuto l’importanza. In Fleabag chiunque può rivedersi per un motivo o l’altro e questo è un altro grande pregio della serie.

Noi come sempre vi aspettiamo qui per il post maratona (perché fidatevi, con gli episodi da venti minuti ciascuno verrà automatico). Condividete con noi cosa vi ha lasciato questa serie, diteci cosa ne pensate e se avete altri spunti di rilfessione non esitate a dondividerli con noi. La sezione commenti è tutta vostra!

Maniac: come affrontare il dolore senza droghe

Se siete fra quelli che pensano che Netflix non abbia molto da offrire in fatto di contenuti originali (soprattutto se si parla di commedie), beh, non posso darvi torto. Personalmente penso che questa sezione del catalogo stia rallentando un po’ troppo, rischiando di cadere nel banale (cosa che non può permettersi di fare viste le proposte dei competitors). Ma attenzione, non sto dicendo che tra gli originali Netflix di questo tipo non ci sia niente di interessante, anzi sono molti i titoli che ho amato alla follia, tanto per citarne qualcuno: Crashing, Master of None, Lovesick (originariamente Scrotal Recall) e, se possiamo inserirli nella categoria, il capolavoro che tutti conoscono come Bojck Horseman e After Life di Ricky Gervais. Mi raccomando guardateli tutti.

mi trovo spesso a frugare, a ritroso, nel catalogo. Ecco come ho ritrovato Maniac.

Quello che intendo dire è che, da quel che vedo, ultimamente Netflix si sta focalizzando su altri generi e tematiche che, tranne qualche scintilla, non riescono nemmeno a impattare come grandi nomi di altri competitors. Per questo mi trovo spesso a frugare, a ritroso, nel catalogo. Ecco come ho ritrovato Maniac, serie di cui mi sono prima innamorato, poi dimenticato, come tutte le migliori sotrie d’amore non corrisposte.

MANIAC

Maniac, del 2018, è vagamente un remake dell’omonima serie TV norvegiese del 2014 scritta da Patrick Somerville e Cary Fukanaga, che si occupa anche della regia. Fukanaga (tra i suoi lavori Beasts of no Nation, No Time to Die e True Detective) si trova a dirigere un cast d’eccezione che vede come protagonisti Emma Stone (Annie Landsberg) e Jonah Hill (Owen Milgrim), mentre tra i personaggi secondari Sonoya Mizuno (Azumi Fujita) e Justin Theroux (James Mantleray). Partiamo col dire che Fukanaga ha fatto un lavoro eccezionale come d’altronde era prevedibile: ha preso Hill e ne ha tenuto a bada la componente comica, centellinandone la quantità; con la Stone vabeh, credo abbia avuto poco da lavorare, nel 2018 era già una star grazie a La La Land (2016); infine Theroux, incredibile, inaspettato, saprà rendere il proprio personaggio carismatico, nonostante il personaggio stesso.

Trama

Annie Landsberg e Owen Milgrim sono due estranei che prendono parte al test di una nuova droga per curare la depressione senza alcun effetto collaterale, sotto la supervisione di due dottori, James Mantleray e Azumi Fujita. La promessa fatta ai protagonisti è quella di veder risolti tutti i problemi legati ai propri problemi psichiatrici; ma ovviamente l’esperimento porterà a risvolti inaspettati.

È con queste premesse, più tendenti al dramma che alla commedia, che la serie di 10 episodi prende il via. L’ambientazione e il tenore dello show sono delineati nel primo episodio, il pilota, nel quale si capiscono molte cose, dal carattere dei personaggi allo stile scenografico che ci accompagnerà per tutti gli episodi: molto retro-futuristico, a partire dal titolo della serie, omaggio a quello della IBM; ma non mancano omaggi e citazioni ad altri capolavori dello stesso genere. Capiamo subito che Annie è una ragazza che soffre di disturbo borderline di peronalità, che si manifesta principalmente nella relazione con la madre e la sorella. Owen invece è un ragazzo apatico e schizofrenico che non riesce ad inserirsi nella propria famiglia, facoltosa e numerosa, decidendo così di vivere indipendentemente.

Anche i due dottori hanno delle backstories che li caratterizzano, ma non voglio raccontarvele qui, perché la mia speranza è che guardiate la serie per scoprire tutte la chicche e i dettagli lasciati qua e là da Somerville e Fukunaga. Per lo stesso motivo non mi addentrerò nemmeno all’interno dei singoli episodi, tutti da assaporare personalmente, carichi di fine comicità, dramma, azione e totale pazzia (ovviamente). Ma questo non deve distogliere dalle tematiche che la serie cerca di evidenziare.

Tematiche

La serie è molto più profonda di quanto voglia far credere. Ci sarebbe molto di cui parlare ma come provo a scrivere qualcosa mi rendo conto che non sarebbe possibile senza fare spoilers, e allora parlerò in generale, non vi racconterò del computer integrato nel laboratorio (omaggio ad HAL 9000, ma forse più simile al sistema operativo di Her) e non vi parerò nemmeno dello sviluppo dei personaggi. Non vi parlerò di cosa succede ogni singola volta che i protagonisti prendono la nuova droga.

E allora dovrò parlarvi del fatto che la serie vuole evidenziare come ogni persona ha dentro di sé qualche trauma, piccoli o grandi che siano, e non c’è nessun modo di risolverli se non affrontandoli. “La droga non è la risposta” è troppo scontata come tematica, anche se ovviamente è implicita, e infatti la serie si immerge su tematiche più profonde; tutto grazie alle capacità del binomio cast e regia, senza i quali (persone giuste nei posti giusti) non sarebbe uscito lo stesso risultato.

Quindi fatemi una promessa, non dimenticatevi di Maniac. Recuperatela immediatamente se già non l’avete fatto. L’originale Netflix ha molto da insegnare, vi lascerà con una sana dose di nostalgia per quello che avete vissuto insieme ai personaggi e come ogni serie che si rispetti vi lancerà in una ricerca online di indizi per le successive settimane. Sarà qui che potrete condividete la vostra opinione, saremo lieti di leggerla!