Maniac: come affrontare il dolore senza droghe

Se siete fra quelli che pensano che Netflix non abbia molto da offrire in fatto di contenuti originali (soprattutto se si parla di commedie), beh, non posso darvi torto. Personalmente penso che questa sezione del catalogo stia rallentando un po’ troppo, rischiando di cadere nel banale (cosa che non può permettersi di fare viste le proposte dei competitors). Ma attenzione, non sto dicendo che tra gli originali Netflix di questo tipo non ci sia niente di interessante, anzi sono molti i titoli che ho amato alla follia, tanto per citarne qualcuno: Crashing, Master of None, Lovesick (originariamente Scrotal Recall) e, se possiamo inserirli nella categoria, il capolavoro che tutti conoscono come Bojck Horseman e After Life di Ricky Gervais. Mi raccomando guardateli tutti.

mi trovo spesso a frugare, a ritroso, nel catalogo. Ecco come ho ritrovato Maniac.

Quello che intendo dire è che, da quel che vedo, ultimamente Netflix si sta focalizzando su altri generi e tematiche che, tranne qualche scintilla, non riescono nemmeno a impattare come grandi nomi di altri competitors. Per questo mi trovo spesso a frugare, a ritroso, nel catalogo. Ecco come ho ritrovato Maniac, serie di cui mi sono prima innamorato, poi dimenticato, come tutte le migliori sotrie d’amore non corrisposte.

MANIAC

Maniac, del 2018, è vagamente un remake dell’omonima serie TV norvegiese del 2014 scritta da Patrick Somerville e Cary Fukanaga, che si occupa anche della regia. Fukanaga (tra i suoi lavori Beasts of no Nation, No Time to Die e True Detective) si trova a dirigere un cast d’eccezione che vede come protagonisti Emma Stone (Annie Landsberg) e Jonah Hill (Owen Milgrim), mentre tra i personaggi secondari Sonoya Mizuno (Azumi Fujita) e Justin Theroux (James Mantleray). Partiamo col dire che Fukanaga ha fatto un lavoro eccezionale come d’altronde era prevedibile: ha preso Hill e ne ha tenuto a bada la componente comica, centellinandone la quantità; con la Stone vabeh, credo abbia avuto poco da lavorare, nel 2018 era già una star grazie a La La Land (2016); infine Theroux, incredibile, inaspettato, saprà rendere il proprio personaggio carismatico, nonostante il personaggio stesso.

Trama

Annie Landsberg e Owen Milgrim sono due estranei che prendono parte al test di una nuova droga per curare la depressione senza alcun effetto collaterale, sotto la supervisione di due dottori, James Mantleray e Azumi Fujita. La promessa fatta ai protagonisti è quella di veder risolti tutti i problemi legati ai propri problemi psichiatrici; ma ovviamente l’esperimento porterà a risvolti inaspettati.

È con queste premesse, più tendenti al dramma che alla commedia, che la serie di 10 episodi prende il via. L’ambientazione e il tenore dello show sono delineati nel primo episodio, il pilota, nel quale si capiscono molte cose, dal carattere dei personaggi allo stile scenografico che ci accompagnerà per tutti gli episodi: molto retro-futuristico, a partire dal titolo della serie, omaggio a quello della IBM; ma non mancano omaggi e citazioni ad altri capolavori dello stesso genere. Capiamo subito che Annie è una ragazza che soffre di disturbo borderline di peronalità, che si manifesta principalmente nella relazione con la madre e la sorella. Owen invece è un ragazzo apatico e schizofrenico che non riesce ad inserirsi nella propria famiglia, facoltosa e numerosa, decidendo così di vivere indipendentemente.

Anche i due dottori hanno delle backstories che li caratterizzano, ma non voglio raccontarvele qui, perché la mia speranza è che guardiate la serie per scoprire tutte la chicche e i dettagli lasciati qua e là da Somerville e Fukunaga. Per lo stesso motivo non mi addentrerò nemmeno all’interno dei singoli episodi, tutti da assaporare personalmente, carichi di fine comicità, dramma, azione e totale pazzia (ovviamente). Ma questo non deve distogliere dalle tematiche che la serie cerca di evidenziare.

Tematiche

La serie è molto più profonda di quanto voglia far credere. Ci sarebbe molto di cui parlare ma come provo a scrivere qualcosa mi rendo conto che non sarebbe possibile senza fare spoilers, e allora parlerò in generale, non vi racconterò del computer integrato nel laboratorio (omaggio ad HAL 9000, ma forse più simile al sistema operativo di Her) e non vi parerò nemmeno dello sviluppo dei personaggi. Non vi parlerò di cosa succede ogni singola volta che i protagonisti prendono la nuova droga.

E allora dovrò parlarvi del fatto che la serie vuole evidenziare come ogni persona ha dentro di sé qualche trauma, piccoli o grandi che siano, e non c’è nessun modo di risolverli se non affrontandoli. “La droga non è la risposta” è troppo scontata come tematica, anche se ovviamente è implicita, e infatti la serie si immerge su tematiche più profonde; tutto grazie alle capacità del binomio cast e regia, senza i quali (persone giuste nei posti giusti) non sarebbe uscito lo stesso risultato.

Quindi fatemi una promessa, non dimenticatevi di Maniac. Recuperatela immediatamente se già non l’avete fatto. L’originale Netflix ha molto da insegnare, vi lascerà con una sana dose di nostalgia per quello che avete vissuto insieme ai personaggi e come ogni serie che si rispetti vi lancerà in una ricerca online di indizi per le successive settimane. Sarà qui che potrete condividete la vostra opinione, saremo lieti di leggerla!

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