[Recensione Manga] Randagi: Cosa significa essere davvero un Randagio

Recensione Manga Randagi Cosa significa essere davvero un Randagio

Siamo spesso portati a dare per scontato tantissime cose che riceviamo quotidianamente quasi in modo incondizionato.

Materialmente potremmo visualizzarle in un tetto sulla testa e una tavola sempre imbandita, oppure più astrattamente nell’amore da parte dei nostri genitori, nel sostegno dei propri amici, o addirittura nella prospettiva di futuro roseo. Tutto ciò sono elementi che ci aiutano a percorrere la nostra vita e ci sorreggono lungo quella traversata sul filo sottile, fatto di gioia e di dolore, chiamato vita. Ma chi non avesse tutto ciò? Come potrebbe riuscire, passo dopo passo, ad andare avanti? Amici miei, parliamoci seriamente, la propria ed unica volontà a continuare ad andare avanti è solo una mera e ridondante illusione, che non può fermare una persona dalla propria caduta, soprattutto quando la vita decide di tirarti addosso tutta la merda di questo mondo. Ma è davvero cosi?

Se cerchiamo su wikipedia il significato di randagio, ci verrà rigurgitato sullo schermo il classico risultato, impeccabile e quasi impassibile, che recita come da manuale: “Randagio, animale privo di un padrone o di un rifugio”. Oltre a ciò wikipedia accenna, nella sua definizione, al randagio non solo come animale ma anche come persona: “Randagio, persona costretta dalle necessità o dalle traversie della vita a non aver mai una dimora fissa”. Però riguardando attentamente questa frase, non posso non negare di storcere il naso, ritenendola a mio parere abbastanza incompleta. Wikipedia, come ovviamente dovrebbe fare, visualizza il randagio nella sua realtà materiale, nel suo mondo razionale e ben definito, ma non si sofferma sulla parte astratta e mentale che rende un randagio tale. Un randagio non è solo colui che non possiede una fissa dimora ma, a mio parere, si definisce anche con chi non riceve quegli elementi essenziali citati prima che costruisco e formano una persona nel corso della sua vita, e questo cari lettori, lo si capisce bene all’interno del manga che vi sto per raccontare.


Ecco il vero significato di Randagio


Come potete aver già capito, oggi parlerò di Randagi, una serie di manga composta da 4 volumi totali, edita da J-Pop e scritta e disegnata da Keigo Shinzo. Alle vostre orecchie potrebbe suonarvi nuovo come autore, perché effettivamente questo giovane mangaka è abbastanza sconosciuto qui in Italia, ma comunque è riuscito a farsi un nome grazie alla sua delicatezza con cui disegna, ma al tempo stesso alla sua profondità con cui scrive le sue storie. Randagi infatti è la sua ultima opera in ordine di uscita, ma da prendere sicuramente nota ci sono anche Tokyo Alien Brothers, un manga di 3 volumi in cui assisteremo alle avventure di due alieni mandati in ricognizione a Tokyo e Midori no Hoshi composto da 4 volumi totali che racconta la storia di Takaichi un pilota di cargo spaziale, schiantatosi su un pianeta alieno. Ma ovviamente non siamo qui per parlare di tutte le opere di Shinzo. Direi di iniziare questo nostro piccolo viaggio, che dite? Forse vi ho già preso troppo tempo. Prima però piccolo reminder a questo articolo che se foste fan di manga potrebbe interessarvi.


Keigo Shinzo, un giovane mangaka con un tratto delicato e una scrittura profonda


Per quanto personalmente mi siano eccessivamente piaciuti questi 4 volumi, non posso che ritenere la sua trama alquanto banale: storie come questa si sono viste in tutte le salse e una narrazione del genere è qualcosa di abbastanza “semplice”, passatemi il termine. Ma ovviamente non sarei qui a raccontarvi di Randagi, se non ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che rende unica questa storia. Prima di passare a questo argomento però, forse sarebbe opportuno se effettivamente vi raccontassi la storia di Randagi: Nella gigantesca metropoli di Tokyo, che con i suoi neon fluorescenti, le sue sale gioco da 7 piani e i suoi chioschetti marci di ramen, dove i salaryman trangugiano birra e divorano spiedini di carne non proprio identificata, la vita sembra perfetta, sembra scorrere liscia come l’olio, si proprio di l’olio di cui sono ricoperti quegli spiedini. Se questo ai nostri occhi occidentali può sembrare il paradiso, beh sicuramente può esserlo, chi mai non vorrebbe vivere una vita di svago a Tokyo, metà turistica di tantissime persone. Ma ovviamente come può essere l’eden per alcuni, non lo sarà per tutti, d’altronde può esistere paradiso senza inferno? Sarebbe troppo utopistico dire di si e l’ispettore Yajime Yamada lo sa benissimo. Yamada, ispettore di polizia, è intento a liberare Tokyo, la nostra amata e tanto osannata Tokyo, da questa malattia pestilenziale diffusa ormai per molti vicoli della gigantesca città, rappresentata dallo sfruttamento minorile in squallidi bordelli, o per gli amici “centri massaggio”. Yamada però non è solo un poliziotto, è anche un padre, o almeno, lo era. Dopo la morte della figlia e il divorzio dalla moglie, il nostro ispettore si è trasformato in un guscio vuoto, con nulla tra le mani, se non un lavoro ben retribuito e una casetta in periferia. Il suo volto spento e ormai vacuo, però una sera d’inverno si riaccende. In un blitz di uno dei soliti disgustosi “centro massaggi” tra le svariate ragazze minorenni all’interno dell’edificio, Yajime scorge in particolare una ragazzina di soli 16 anni, Shiori Umino, scappata di casa da una madre violenta, che spaventosamente assomiglia tantissimo alla figlia scomparsa. Dopo quel momento Yamada non potrà più togliersi dalla testa Umino e deciderà egoisticamente di salvarla da quella vita sbandata e pericolosa in cui è stata costretta a rifugiarsi, questo per riuscire in futuro ad non avere nessun rimpianto. Oppure, sarà Umino a salvare Yamada?


Riusciranno Umino e Yamada a salvarsi da quell’inferno?


Ecco tenete bene a mente queste due ultime frasi perché sono cardini importanti della psicologia con cui è stato concepito Yamada e fanno di lui un personaggio molto interessante. Nulla togliere ovviamente a Umino certamente, una ragazza forte e quasi indistruttibile che combatte con le unghie e con i denti, ma che al suo interno risiede un forte senso di solitudine, che ovviamente non può essere mostrato perché potrebbe rivelarsi vulnerabile ai diavoli che infestano Tokyo. Shiori è una ragazza sola e abbandonata al corso inesorabile degli eventi, in quella città che però di paradiso per lei non ha nulla.  Anche per Yamada questa città accecante non ha in serbo niente, non ha nessun eden da mostrargli; niente può colmare quel vuoto che lo sta divorando dall’interno, niente può fermare quel dolore che Yamada sta provando e niente e nessuno riuscirà mai a riportare indietro sua figlia, ma questo Yajime lo sa bene. Sorrisi finti, espressioni vacue, occhi assenti incavati all’interno di un uomo stanco e a pezzi. Ma Yamada pur avendo questo suo tedio dentro il suo cuore farebbe di tutto per riottenere quella pace e quella spensieratezza che condivideva con sua figlia un tempo. Ed è questo pensiero puramente egoistico che muove le redini di questo personaggio e che porta Yamada a salvare Shiori: non la salva perché in difficolta, non la salva perché ha bisogno di una figura famigliare che la sostenga, ma perché semplicemente il fato ha voluto farla somigliare alla sua defunta figlia. Il nostro protagonista è un uomo e un padre a metà che pur di “non avere più rimpianti” decide arbitrariamente di avere una seconda possibilità, con una povera ragazza disposta a tutto pur di avere quegli elementi essenziali che la porterebbero a non essere più una randagia. Anche fingere.


Shiori una ragazza indistruttibile e Yamada un gentile ma egoistico guscio vuoto


Ciò che quindi mi ha fatto amare questo manga, come potete ben intuire non è la sua storia di per se, ma come essa viene raccontata e di come si presenta agli occhi del lettore. Il modo in cui Shinzo con i suoi disegni riesce a penetrare nell’anima e nelle viscere del lettore è qualcosa di estremamente commovente e a volte anche straziante, ma che riesce a far risplendere questa opera nel miglior modo possibile. Il tratto dolce, pulito e tenue rende ogni scena adorabile e leggera in modo da non affaticare troppo gli occhi del lettore anche se, in contrasto con l’uso abbastanza costante di spazi bianchi, non mancheranno tavole dettagliate e ricche di piccoli particolari che andranno a bilanciare quella “vuotezza” data dal bianco. L’ampio uso di tavole bianche, è sicuramente ben studiato da Shinzo perché spesso rilette l’interiorità del personaggio stesso e mette in mostra quanto, fra sorrisi finti e sguardi vacui, in fondo all’interno di ogni personaggio, non ci sia nulla, portando alla luce il guscio vuoto che in realtà sono. Ma tutto ciò come già detto non va ad escludere la presenza di fini e soavi dettagli che vanno ad arricchire, non solo scenari, ma soprattutto i volti dei personaggi, in particolare quelli dei protagonisti. È davvero incredibile come Shinzo con l’unico uso della mano riesca a creare volti dal così forte significato, scaraventandoci addosso così tante emozioni che, come una freccia, colpiscono perfettamente il nostro cuore. Ma attenzione se da una parte Shinzo, con la sua mano gentile pervade il suo intero racconto con sentimenti come tristezza abbandono devastazione, insieme anche a qualche sprazzo di gioia e tranquillità, dall’altra troviamo come “un’altra”mano; una mano sporca, pesante e quasi distruttiva, che nei momenti seri e cupi si lascia andare a tratti più spessi e caotici spennellando alla perfezione le emozioni di rabbia e collera, che i personaggi stanno provando


Un tratto delicato e gentile, ma anche deciso all’occorrenza


Quindi oltre a questo suo tratto leggero, ma anche deciso, che contraddistingue il titolo di Shinzo, ci sarebbe anche un altro elemento, o per meglio dire, una parte più personale del mangaka, che risulta essere la sua “mano giovanile”. L’aria che si respira all’interno di questo manga è un’aria fresca e sicuramente al passo coi tempi, derivata dalla giovane età di Shinzo che ci scaraventa addosso ambientazioni, personaggi, vestiti ma soprattutto tematiche attuali del Giappone. Sicuramente quando si è giovani si hanno più energie, si è più disposti a tirarci su le maniche e a combattere per i propri ideali e per i problemi che interessano il singolo, ma anche la collettività. Shinzo oltre ad intrattenere il pubblico, con una bella storia, vuole mostrarci un po’ di quella sua volontà e quello slancio che ribollono ancora nelle sue vene, facendoci partecipi delle problematiche che affliggono il Giappone e più nello specifico Shinzo stesso. Questo suo grido di denuncia porta il lettore a riflettere e a vedere Tokyo, insieme all’intero Giappone, non più come il paradiso terrestre, ma come un qualsiasi stato della Terra, in cui pullula corruzione, disagio e malessere. Il primo dei problemi che grava sulle spalle di Keigo è sicuramente lo sfruttamento e prostituzione minorile, che levita attorno a questa cultura totalmente malsana della venerazione del corpo minorenne femminile. Oltre a questo terribile problema Shinzo ne collega uno più contemporaneo e che di solito, nella svariata lista di problematiche di cui è colpevole il Giappone, passa sempre sotto banco, cioè quello dei social. È incredibilmente assurdo visualizzare che non solo questa orrenda cultura del corpo non si trovi unicamente per strada, magari nei locali imbucati in qualche vicolo buio, ma sia anche sotto gli occhi di tutti, cioè nei social. Il mangaka mette fortemente in mostra come sia diffuso questo problema e di quanti carnefici ne facciano parte. Dal salaryman più pacato allo studente di università, moltissimi utilizzano i social per ottenere carne giovane da poter utilizzare a loro piacimento, in cambio del loro cibo,della loro acqua e del loro tetto sotto cui ripararsi. Non vi devo nemmeno stare qui a dire quanto questo “luogo virtuale” non sia rose e fiori, tant’è che trai i disegni e le tavole del manga si scorge ampliamente quanto questo luogo sia malsano, ma soprattutto quanto sia comune. La facilità con cui una ragazza possa entrare all’interno di questo terrificante tunnel è qualcosa che fa gelare il sangue. Infine Shinzo decide, nascosto tra le righe dei dialoghi e dei disegni della sua opera, in un modo molto velato, di porre una forte critica, che si insinua all’interno di un po’ tutti i giapponesi, sulla generale mancanza di empatia fusa insieme ad una rigidità sociale profondamente radicalizzata. Il nostro caro mangaka ci vuole far osservare quanto la società giapponese, in questo caso, ponga sugli occhi dei suoi cittadini un bel paio di paraocchi, che portano il nipponico medio a far buon viso a cattivo gioco. Se da una parte devi mostrare, anche fingendo, di essere una animale sociale, integrandoti e facendoti inculcare nella testa gli interessi e i piaceri che la società ti obbliga a seguire, dall’altra l’unica cosa che ti deve importare non è nient’altro se non del proprio giardino. La società mi dice che questo vestito non è bello? Sicuramente sarà così. La società mi dice che non devo dire determinate cose? Sicuramente non le dirò. Se la società mi dice che chi scappa di casa, da una madre abusiva, è sicuramente per un capriccio e lo fa perché ancora immatura, allora sarà sicuramente così. Sono proprio questi sicuramente che premono sulle spalle di Shinzo e di cui sinceramente ci vuole parlare.


Queste sono alcune delle problematiche che gravano sulle spalle di Shinzo


Alla fine dei conti Randagi è un’opera che, attraverso la sua semplicità, è riuscita a colpirmi davvero molto e ha scaturito all’interno di me, moltissimi sentimenti. Felicità, tristezza, rabbia, egoismo, ma anche speranza, saranno alcune delle forti emozioni che questo manga riuscirà sicuramente a farvi provare. Questa serie da 4 volumi è una lettura che vi consiglio caldamente di recuperare. Una storia leggera che vi strapperà sicuramente un sorriso, ma probabilmente anche qualche lacrimuccia, affiancata da un disegno dolce, delicato ma anche deciso. Oltre a ciò potrete toccare quasi con mano e conoscere svariate tematiche che Keigo Shinzo mette in risalto ed entrare in contatto con alcune problematiche che affliggono il Giappone.


Una lettura leggera ma allo stesso tempo straziante


Ma quindi rispondiamo alla domanda fatta molto prima, all’inizio di questa recensione. Ma chi non avesse tutto quello di cui una persona normale ha bisogno per sopravvivere? I randagi non hanno solo bisogno di una casa sotto cui stare, ma hanno soprattutto bisogno di un elemento fondamentale: la felicità di essere vivi. E chi può essere, se non qualcuno che esso stesso la sta cercando, la persona migliore da cui ottenere questa felicità I randagi sono solo persone a pezzi, che se pur devastante dal corso degli eventi, riescono in qualche modo a completarsi a vicenda ed è questo che Shinzo ci vuole raccontare; una storia di due randagi che si completano, nel bene e nel male.

Se siete arrivati fino in fondo, bravi, e come “ricompensa” vi propongo questo altro manga molto interessante, lo trovate qui in questo articolo