Little Corners – Gli attacca-stacca sono tornati [Recensione]

Little Corners Gli attacca stacca sono tornati [Recensione]

Stacca, attacca, stacca, attacca… “Little Corners” ci fa riscoprire quanto erano belli gli adesivi riutilizzabili!

Prima di tutto, ci tengo a ringraziare il team di Meteor Pixel e SECRET SAUCE per averci concesso, tramite Keymailer, di provare una versione anticipata del loro gioco di prossima uscita, Little Corners!

Vi ricordate quegli album dalle pagine liscissime che contenevano miriadi di adesivi da attaccare e staccare, posizionandoli come più ci piaceva su una serie di paesaggi per creare diversi scenari ispirati a cartoni animati e non solo? Ecco, questo gioco mi ha riportato lì, e anche solo per questo si merita una chance.

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Appena ho aperto il primo scenario, sono rimasta letteralmente sopraffatta dalla quantità di adesivi disponibili, dalla loro varietà e dalle innumerevoli possibilità che mi presentavano. A poco a poco, ho iniziato a dare una direzione precisa al mio angolino, facendo scelte che via via riducevano il numero di possibilità, e allora ho iniziato a godermi davvero l’aspetto decorativo.

Una volta aperto il secondo scenario, sapevo cosa aspettarmi, quindi ero pronta. Un nuovo ambiente, un nuovo tema, ma lo stesso concetto: buttati e sperimenta più che puoi, senza limiti.

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Little Corners è un gioco di decorazione estremamente soddisfacente per chi, come me, cercava sempre di attaccare le figurine in maniera che non si vedessero i bordi rettangolari che dovevano accoglierle nell’album. La mia speranza è che, al momento della sua uscita, ci saranno molti altri scenari in cui sbizzarrirsi, dopo i tre che ho potuto provare.

Non si tratta di un gioco privo di bug, ma sono fiduciosa che le cose verranno sistemate prima del lancio. Quando ho riaperto uno scenario e spostare avanti e indietro uno sticker ha iniziato a spostare avanti e indietro metà degli oggetti, ammetto che ero sul punto di chiudere tutto (prendo i miei adesivi molto seriamente), ma per fortuna è bastato uscire senza salvare perché tutto tornasse al suo posto.

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La cosa che mi ha veramente colpito di questo gioco, è che ci ricorda quanto sia bello fare qualcosa (come attaccare e staccare adesivi) soltanto per il gusto di farlo, non per un obiettivo da raggiungere o un livello da superare, ma soltanto per creare qualcosa che ci piaccia e poi farlo da capo.

E voi che ne dite, proverete Little Corners? L’uscita del gioco è prevista entro la fine dell’anno!

Hoomanz! Demo – Lasciate in pace la natura! [Recensione]

Hoomanz! Demo Lasciate in pace la natura Recensione

Quando l’essere umano non recepisce il messaggio, tocca alla natura rimboccarsi le maniche: non siete i benvenuti, “Hoomanz!”

Prima di tutto, ci tengo a ringraziare il team di Koffeecup che, tramite Keymailer, ci ha permesso di provare la demo del loro nuovo gioco, Hoomanz!

L’essere umano è il più grande nemico della natura, su questo non ci sono dubbi. Non a caso sono stati realizzati innumerevoli prodotti che hanno proprio questo tema come fulcro, da Il Lorax del Dr. Seuss ad Avatar di James Cameron.

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Per questo è particolarmente piacevole mettere le mani su un gioco che non solo affronta questo tema, seppur con leggerezza, ma in cui ci viene anche data l’occasione di vestire i panni della natura in cerca di “vendetta”. Più precisamente, i panni nei quali ci caliamo sono quelli di Shoo (il cui nome ci fa già capire la sua missione), il mitico guardiano del Pianeta Erf.

Shoo, tanto adorabile quanto determinato, è pronto a liberare la sua amica natura dagli estranei. Lo scopo di Hoomanz! è infatti spaventare gli umani che hanno invaso il nostro territorio, in un gioco senza combattimenti che si basa sulle meccaniche stealth e su un’atmosfera adatta a tutta la famiglia.

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Il gioco è davvero ben fatto, la premessa è, purtroppo, estremamente attuale e le meccaniche sono simpatiche e accattivanti, come anche le grafiche e l’audio di gioco. “L’oscurità è amica della natura, la luce è sua nemica.”, si legge su Steam. Fin tanto che rimane nell’ombra, Shoo è potente e spaventoso, ma, quando lo vedono alla luce, gli umani non resistono al suo aspetto coccoloso e decidono di correre ad abbracciare un animale selvatico (sarebbe bello pensare che gli umani non siano così stolti nella realtà…).

Per quanto si tratti di un inconveniente fastidioso, però, è anche una debolezza che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. E gli stessi aggeggi che gli umani portano con sé in questi luoghi possono ritorcersi contro di loro, con un po’ di astuzia e il favore delle ombre.

Hoomanz! Demo Lasciate in pace la natura Recensione
Shoo alla luce e nell’ombra, cr: Koffeecup

Onestamente, il titolo estremamente millennial del gioco mi aveva inizialmente fatto dubitare del suo potenziale, ma adesso sono davvero curiosa di giocare Hoomanz! nella sua versione completa e di scoprire quali altre sfide e habitat gli sviluppatori hanno in serbo per noi e per Shoo. E sembra che non dovrò aspettare molto, visto che l’uscita del gioco è prevista per il 27 ottobre 2025!

Before Exit: Gas Station – L’incubo delle proprie scelte [Recensione]

Before Exit Gas Station L'incubo delle proprie scelte [Recensione]

È ora di staccare dal lavoro, ma non prima di aver completato tutti (ma proprio tutti) i nostri compiti in “Before Exit: Gas Station”!

Ho di recente avuto modo di provare il nuovo gioco del Take IT Studio!, che ci tengo a ringraziare per averci concesso, tramite Keymailer, la chiave per provare Before Exit: Gas Station prima della sua uscita! Questo titolo segue le orme di Before Exit: Supermarket, di cui non avevo sentito parlare prima di provarne il “sequel”.

Nonostante non si tratti del genere di giochi che solitamente mi attira, la premessa di Before Exit è stata abbastanza intrigante da convincermi. Soprattutto perché, a prima vista, tale premessa è estremamente banale. In qualità di impiegato di una stazione di servizio, il nostro compito è “pulire il tuo posto di lavoro, occuparti degli ultimi clienti e assicurarti che tutto sia chiuso.”

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Così recita la sua descrizione su Steam, prima di aggiungere: “Se tutti i compiti sono stati completati, siete salvi.” Salvi dal licenziamento o da qualcos’altro? Come il primo titolo del franchise, si tratta di un gioco di rilevamento delle anomalie. L’attenzione ai dettagli e la memoria giocano una parte fondamentale nella risoluzione dei rompicapi.

Lo scopo del gioco è superare sette giorni di lavoro senza che il capo ci richiami più di due volte a settimana. Se abbiamo successo, riceveremo una promozione. Continuare a giocare e ottenere una promozione dopo l’altra è l’unico modo per sbloccare i più di 40 scenari, finali e “ricordi” disponibili all’interno del gioco.

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Personalmente, la mia indole meticolosa e perfezionista ha fatto occasionalmente a botte con la mia impazienza di andarmene da questo sperduto posto di lavoro, costringendomi a ripetere diverse giornate e costandomi anche il lavoro un paio di volte. Nonostante questo, il mio desiderio di continuare a giocare non è stato scalfito.

Il gioco è molto criptico, non dà spiegazioni chiare su cosa bisogna fare e su cosa ci ha portato fin qui, in una stazione di servizio in mezzo al nulla da cui non possiamo andarcene prima del tempo e nella quale succedono cose che spesso non trovano spiegazione. Con una sensazione di pericolo latente che sembra osservarci dalla boscaglia, la routine è l’unica certezza a cui aggrapparsi mentre una storia di ambizione e rimorso sembra farsi strada nella nostra memoria.

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L’atmosfera è decisamente ben riuscita, anche grazie alle grafiche accattivanti e a una confortante colonna sonora a tenerci compagnia. Il gioco trasmette davvero la sensazione di trovarsi da soli in mezzo al niente e di volersene andare il più in fretta possibile, nonostante non ci sia un vero motivo per temere il bosco. Le persone, invece, quelle sì che sanno essere inquietanti.

Before Exit: Gas Station esce proprio oggi, 10 ottobre 2025!

IL GLADIATORE II, il sequel di Scott 24 anni dopo – [Recensione]

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Recensione de “Il Gladiatore II”, il sequel di Ridley Scott 24 anni dopo, con Pedro Pascal, Denzel Washighton e Paul Mescal

Partiamo dal fatto che, nonostante il film del 2000 mi piaccia tantissimo, non posso dirmi particolarmente fan, o almeno sul piano affettivo credo di avere un rapporto più o meno come quello con tanti altri film, quindi l’esito di questo secondo capitolo assolutamente fuori tempo, fatto solo perché nella Hollywood contemporanea se non fai i sequel nessuno va al cinema, non mi avrebbe in ogni caso tanto turbato, insomma, mi sembra che ultimamente rovinare un franchise non sia una tragedia assoluta per nessuno.

Ed è forse questa mia relativa distanza con il primo che mi fa giudicare questo Gladiatore II in realtà come un buon film, la cui esperienza al cinema è stata davvero di un grande blockbuster, che intrattiene e porta in scena grande azione. Poi però c’è da considerare anche il paragone inevitabile col primo, dato che è il film stesso a cercalo, mettendo in piedi una specie di versione 2.0 del film con Crowe.

In effetti gran parte della storia assomiglia al suo precedente capitolo, prima cosa tra tutte il gladiatore. Paul Mescal si ritrova a fare il figlio di Massimo Decimo Meridio, con bene o male le stesse dinamiche di storia, ma dall’impatto forse un po’ più tiepido di un Russel Crowe travolgente e impetuoso. Purtroppo al netto di tutto è il flop più grande di questo film, che ha il problema di chiamarsi proprio “Il Gladiatore”.

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Recensione THE PENGUIN

Per il resto a me ha soddisfatto quasi tutto, gli intrighi di potere, Denzel Washinghton e il suo Macrino, un Pedro Pascal che assomiglia tanto a Russell Crowe nel carisma e nell’impeto, il modo in cui hanno gestito Roma e le sue caratteristiche. Con scelte intelligenti hanno reso una delle vicende interessanti anche con pochi elementi. Ovviamente sorvoliamo le inesattezze storiche, una tra tutte che Macrino diverrà imperatore, con tutte e due le mani.

Seppur paiano strani alcuni cambi repentini di idee, nel complesso credo che tutti i personaggi siano stati trattati nel giusto modo, forse davvero l’unico il cui arco è fin troppo poco incisivo è Lucio Vero, che teoricamente dovrebbe il protagonista, lo so, ma è inserito in un contesto che ne fa risaltare anche quel poco di interessante che ha.

Grandi peccati sono intanto la colonna sonora, davvero un’occasione persa, e poi quelle maledette scimmie, il cui problema secondo me non è nemmeno tanto la CGI, ma è il concept in sé, a cui non ho creduto nemmeno un instante. Per il resto, seppur ormai l’Impero romano venga usato da Hollywood come la discarica a cui addossare tutte le colpe e le onte del nostro tempo, l’operazione è riuscita, con però un cambio di prospettiva, non più di raccontare tanto la storia già vista di un gladiatore, ma bensì del contorno che ne fa da struttura.

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il gladiatore 2

In conclusione, un film che sembrerà una copia del primo capitolo, ma che ha da offrire una prospettiva diversa del contorno che permea le dinamiche di potere che si creano in una antica Roma dal gusto Hollywoodiano e soprattutto grande azione e spettacolarità. Il grande flop è forse Mescal nei panni del protagonista, che non riesce in nessun modo ad emulare il lavoro di Russell Crowe. Se ci si ferma ai paragoni col primo, ci si perde un bel blockbuster con un gran Scott.

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THE PENGUIN St.1, la serie dell’universo di The Batman – [Recensione]

the penguin

Recensione di The Penguin, la nuova serie dell’universo di The Batman, con protagonista Colin Farrell nei panni del celebre villain di Batman

Ero molto curioso di questa serie, soprattutto perché dopo il successo di The Batman, mai avevo pensato a un universo a sé dato l’annuncio del nuovo universo di James Gunn, Quella che mi sono trovato davanti è una serie che mi ha fatto impazzire, da fan, a livelli davvero raramente raggiunti.

La serie comincia dalle vicende di The Batman e si collega subito a quell’arco narrativo i cui personaggi avevano già comparsa nel film di Reeves. Le atmosfere si ripropongono subito, ma presto il cambio di budget si fa sentire. Nessun problema. Introducono così nuovi personaggi che fanno sentire tutto più domestico, più urbano e meno spettacolare come nel film con Pattinson.

Sofia Falcone e Victor diventano quasi da subito dei comprimari perfetti, che rappresentano in questa serie gli antipodi nel mezzo dei quali Oswald si posiziona: meno crudele della spietata Sofia, più criminale del povero Victor, meno disturbato della squilibrata Sofia, più pazzo dell’ingenuo Victor. E in questo non posso che fare i complimenti a Colin Farrell, Cristin Milioti e Rhenzy Feliz.

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Recensione Joker: Foliè a Deux

In generale in lato tecnico non è mai stato di bassa qualità, soprattutto la regia in numerosi frangenti mi è parsa molto ispirata, forse solo la colonna sonora non ho ricordo sia mai stata così tanto incisiva. Ma il grande pregio di questa serie è senza dubbio la scrittura. Otto puntate una più bella dell’altra, capaci di raccontare una storia di criminalità interessante senza mai annoiare, sviluppando dei personaggi incredibili, dando loro spazio e approfondendone le psicologie, in un intreccio di storie che culminano in un episodio finale davvero sorprendente.

Il tempo giusto per raccontare il passato di tutti e tre i personaggi fondamentali, in ognuno di essi attribuendo delle caratteristiche che si portano dietro nel loro presente, bisogni e desideri che li spingono ad agire in determinati modi. La storia che hanno creato e soprattutto il modo in cui l’hanno raccontata, riuscendo a riempire in modo intelligente e fico tutte le puntate, l’hanno resa per me la miglior serie dell’anno finora.

Unici elementi che mi fanno dire “cavolo se fosse stata così sarebbe stata perfetta” sono un pizzico di follia fumettistica. Insomma il misto di Pattinson tra il Batman iper reale di Nolan e il molto cartoonesco di Burton. Credo però che sia stata una decisione con un senso lasciare il realismo. Altra domanda che mi sono posto è, ma Batman, in tutto questo, che fa?

Sono molto contento del successo del progetto e non vedo l’ora intanto di una seconda stagione, di vedere un Pinguino più evoluto in The Batman 2 dove sembra confermato, e tifo per questa serie ai prossimi Emmy, soprattutto per Colin Farrell.

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the penguin

In conclusione, una serie davvero strabiliante, capace di raccontare tre personaggi incredibili le cui storie si intrecciano alla perfezione e che rappresentano uno lo specchio dell’altro. The Penguin riesce a farti immergere nelle vicende di criminalità grazie a una regia ispirata e una scrittura che si dà il giusto tempo di narrare il passato dei suoi personaggi, creando colpi di scena notevoli.

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MEGALOPOLIS, il nuovo film di Coppola – [Recensione ]

festa del cinema megalopolis trailer italiano del film di francis ford coppola con adam driver

Recensione di Megalopolis, il nuovo film di Coppola sulla distopica New Rome con protagonista Adam Driver e Nathalie Emmanuel

L’hype per questo film era cresciuto sempre più con l’uscita dei trailer, ma devo ammettere che nell’ultimo mese avevo iniziato a pensare al peggio: un film realizzato solo per il nome Coppola alla regia e non per la sua qualità. Dopo la visione del film sono contento di poter dire che i miei presagi erano sbagliati: questo film è un bel film! C’è da capire in che termini, ma ora ve lo illustro.

Megalopolis, a mio avviso, è un film che tratta molte tematiche e lo fa attraverso una storia, che Coppola definisce fiaba, ambientata in un mondo sostanzialmente allegorico. Ogni personaggio o luogo è un’allegoria di una determinata caratteristica della società contemporanea.

Perché sì, nonostante talvolta alcuni elementi della storia risultino incompatibili con il nostro mondo e che semplicemente Coppola stia narrando la storia, seppur interessante, di personaggi immaginari che non hanno corrispondenze con il nostro mondo, in realtà tutto ha un senso in questo grande progetto.

Purtroppo credo anche che questa volontà di rappresentare tante tematiche in un solo film produca un effetto straniante durante la visione del film, che non è necessariamente un lato negativo, ma probabilmente occorre vederlo una seconda volta per comprenderlo maggiormente.

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JOKER: Folie à Deux recensione

La trama gira intorno a personaggi dei piani alti della società e vengono dipinti, in modo didascalico come d’altronde è la pellicola intera, come il marcio della società, che però controllano in un mondo in cui il potere è distribuito tra che detiene le risorse. E tutti i personaggi hanno un lato oscuro e un lato chiaro.

Ceasar rappresenta l’homo novus che vorrebbe cambiare il mondo ma che viene ostacolato dai potenti, sebbene anche lui abbia un suo lato oscuro fatto di scheletri nell’armadio e traumi non superati. Il Megatron in senso proprio rappresenta la chiave dell’utopia di Ceasar che io ho rivisto nell’IA, ma che probabilmente vi assomiglia solo in questo momento storico e Coppola intendeva semplicemente un qualcosa di nuovo.

Le vicende che si susseguono in una serie di dinamiche abbastanza archetipiche culminano in un finale che fa ben sperare, trasformando una storia di personaggi grigi, nessun personaggio è solamente positivo, in una storia a lieto fine, quasi con un “e vissero tutti felici e contenti.” Che ho trovato un po’ forzato ma che in fondo è un buon auspicio per un mondo che sta marcendo da dentro e che attende qualcuno che ne ristabilisce i paradigmi di giustizia ormai perduti.

Il film ha un’ampia portata di tematiche, tra cui anche temi intimi, poiché il protagonista è e rimane Ceasar, di cui seguiamo le vicende da vicino, affrontando come lui i demoni di una vita fatta di maschere e ingiustizie. Non mi sento di voler interpretare tutto ciò che accade all’interno della pellicola (in primis la capacità di fermare il tempo), ma riconosco la grandezza di questo film.

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Un film monumentale, che fa del lato tecnico un suo pregio ma che cerca nelle vicende narrate di veicolare un messaggio attraverso le allegorie di personaggi e luoghi che efficacemente restituiscono allo spettatore la rappresentazione della società contemporanea marcia con l’espediente narrativo della New Rome e dei suoi usi e costumi. Un film complesso che lascia in eredità tante riflessioni su temi universali.

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GLI ANELLI DEL POTERE St. 2 – [Recensione]

gli anelli del potere

Recensione de “Gli anelli del potere” St. 2, la serie Prime più discussa del momento ma anche la più vista, tratta dagli scritti di Tolkien

Ed eccoci giunti al termine della seconda stagione della serie più chiacchierata del 2024 ma anche quella che attendevo di più: Gli anelli del potere. Dopo una prima stagione abbastanza soddisfacente, con una gestione delle sottotrama talvolta disorganizzata, tornano le avventure della Terra di Mezzo.

Premesse doverose che in questa stagione acquistano ancora più valenza: questa serie non ha l’intento di mantenere la scelta del tipo di contenuto che caratterizza gli scritti di Tolkien. Tolkien scrive dei miti, delle storie che hanno ruolo allegorico, le razze hanno un significato, i luoghi hanno un loro significato, i personaggi hanno un loro significato.

Questa serie è figlia dell’epoca dello spin off e del sequel, il che vuol dire che difficilmente c’è spazio per l’allegoria. Sauron, che nel Signore degli anelli è l’incarnazione del male, il male per definizione, qui assume tratti umani, con suo passato, con una sua origine. Dunque, è chiaro che se anche del mentore si va a raccontare il passato quando non era mentore ma uno sprovveduto, questa prospettiva non la si cerca in nessun modo.

Detto ciò, accettate le premesse, possiamo analizzare la serie per quel che è, all’infuori del canone Tolkeniano, sempre ovviamente considerando i dovuti paragoni e coerenze. La serie mi è piaciuta, seppur non sempre omogenea. Trovo abbiano fatto dei passi avanti notevoli e sono contento dei risultati ottenuti.

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JOKER: FOLIE A DEUX, recensione

La prima correzione è stata la gestione delle linee narrative. In questa seconda stagione hanno deciso di limitare le sottotrame per episodio, cercando sempre di averne due principali massimo per puntata, evitando così il minestrone e concentrandosi di più sulle evoluzioni delle varie storie.

L’uso dei personaggi è assolutamente pregevole. Tutti hanno il giusto spazio, senza lasciare protagonisti e perfino Sauron non assume il ruolo centrale che qualcuno vorrebbe. Credo che siano stati molto bravi nella gestione delle relazioni che questi personaggi creano tra di loro, originando storie interessanti e intrattenenti.

Ed è proprio l’intreccio delle varie storyline che rende questa stagione migliore della prima, dove ancora, forse inevitabilmente erano tutte un po’ a sé. Qui invece si uniscono e trovano risvolti narrativi molto interessanti. Le più riuscite secondo me sono Numenor e Eregion, ma quasi tutte mi sono piaciute.

Un po’ meno la storyline di Isildur e quella dei Pelopiedi e dello Straniero, ma comunque apprezzabili (non da me in toto). Poi ci sarebbe molto da parlere delle varie scene che hanno creato scandalo e che sinceramente potevano anche risparmiarsi, insomma delle scelte un po’ politiche ma che ho deciso di ignorare, in fondo ragazzi sono serie tv  e Tolkien rimarrà Tolkien anche con questa serie.

Gli Anelli del Potere Tom Bombadil uno dei personaggi preferiti dai fan comparira nella seconda stagione della serie

In conclusione, una seconda stagione che se vista con i filtri giusti riesce ad intrattenere molto, creando delle sottotrame molto interessanti che vedono l’incontro delle storie della prima stagione e nuovi snodi narrativi che ho apprezzato molto. Finalmente hanno deciso di concentrarsi meglio nelle singole storyline evitando il minestrone della prima stagione. Lato tecnico sempre eccellente.  

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Per informazioni ufficiali qui il sito di Prime Video.

JOKER: FOLIE À DEUX – [Recensione]

joker 2

Recensione di “Joker: Folie à Deux”, il sequel del successo di Todd Phillips che torna alla regia insieme a Phoenix e Lady Gaga come attori

Questo film era quello che attendevo di più del 2024, essendo io grande fan del primo Joker, che stato un film evento, vincitore di oscar e che ha incassato un miliardo di dollari. C’era dunque una notevole quantità di hype per questa pellicola che all’annuncio fece impazzire tutti e non aspettavo altro che fare la recensione di questo Joker: Folie à Deux.

Dopo le prime dichiarazioni di Todd Phillips sul fatto che questo sequel sarebbe stato un musical, subito iniziarono le prime polemiche e le prime storture di nasi, ma sinceramente i primi trailer mi avevano genuinamente catturato, anche se non riuscivo a capire dove sarebbero voluti arrivare.

Dopo la visione ho provato una profonda delusione per una pellicola che si distacca dalla sua precedente per tono e contenuti. Uscito dalla sala non sono riuscito a provare che un profondo rimpianto per un’idea che alla fine del film mi aveva anche convinto ma distribuita male all’interno del film.

Joker: Folie à Deux è la decostruzione del personaggio di Arthur Fleck messo in scena nel primo film come un idolo da prendere come modello, capace di criticare il marcio della società, ribellarsi ai potenti e trascinare con sé folle di persone, divenuto poi dopo l’uscita del film un’icona pop assoluta. In Folie à Deux Arthur viene dipinto solo come uno squilibrato e un serial killer quale è, senza tentativo di difenderlo ancora e giustificarlo.

L’idea di Phillips è quindi di distruggere il personaggio che ha creato, concludendo con la parte finale che mette a nudo la verità dietro di tutto, facendo anche perdere ad Arthur l’unica cosa che adesso era riuscito a conquistare, un buon motivo per continuare a vivere. Nel processo infatti è chiaro che non ci sia l’intenzione di farlo passare per innocente, anzi sembra che tutto il processo ridicolizzi Arthur che non è più quel fenomeno da spettacolo ma un fallimento.

La sua fuga non va a buon fine e il modo un cui si conclude il film rappresenta proprio ciò che è Joker, ossia con una morte cruda e ucciso da uno psicopatico. E questo un po’ giustifica la volontà iniziale di Phillips di non volere un sequel per il primo Joker.

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Deadpool & Wolverine recensione del nuovo film Marvel

Per quanto l’idea mi abbia convinto è la sua messa in scena che non mi ha convinto del tutto. La scelta del musical come proiezioni e illusioni di Arthur è azzeccata nella sua prospettiva, ma secondo me è mancato quel qualcosa che le rendesse davvero parte della storia. Inoltre la sceneggiatura è piena di momenti anticlimatici che non fanno davvero partire il film che rimane per tutta la pellicola una lunga introduzione che prepara a qualcosa che non arriva mai.

Ed è forse questo qualcosa che lo spettatore aspetta per tutto il tempo rendendo ogni snodo narrativo l’ennesimo risvolto dello stesso impasto che non arriva mai ad essere steso per farci la pizza ma viene impastato per due ore. Metafore culinarie a parte, forse lo spettatore si aspettava tutt’altro e rimane perennemente con l’amaro in bocca. Nel finale poi capisce tutto, le vere intenzioni del regista ma ormai è troppo tardi, e il film è già stato odiato.

Io sinceramente riesco a freddo comprendere tutte le intenzioni di decostruzione che da un punto di vista del messaggio ha comunque un suo peso, ma forse la messa in scena è fin troppo scialba per un’idea che poteva essere messa in pratica in modo migliore. “A sto punto preferivo il sequel che tutti volevano”.

Ultime parentesi tecniche, Lady Gaga come Harley Quinn è poco Harley Quinn, per quanto abbia senso il suo personaggio ha poco valore all’infuori delle scene cantate. La regia non ha particolari guizzi, nonostante abbia apprezzato molto le scene intime. La fotografia mi ha convinto mentre la colonna sonoro ho fatto fatica ad apprezzarlo, a parte i capolavori di Sinatra, che vabbè.

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In conclusione, Joker: Folie à Deux è la decostruzione del personaggio del primo film creato da Phillips, che da idolo delle masse e critica della società rivela la sua vera natura di squilibrato mentale. L’idea dunque di distruggere il concetto del Joker mi avrebbe anche convinto, ma il modo scialbo con cui viene messo in scena il declino di Arthur Fleck rende il film sul pratico un insuccesso, che fa però riflettere.

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DEADPOOL & WOLVERINE, il nuovo film Marvel – [Recensione]

deadpool e wolverine uscita ebd

Recensione di Deadpool & Wolverine, il nuovo film Marvel che conclude la trilogia con protagonista Ryan Reynolds, stavolta con Hugh Jackman

Dati gli ultimi esiti della Marvel, sono andato in sala con aspettative bassissime. La formula personaggi nuovi con vecchie comparse ho sempre fatto fatica a concepirla, a credere in quello che vedevo sullo schermo, dunque vedere Hugh Jackman di nuovo in costume mi faceva proprio strano.

Ma per fortuna nemmeno la Marvel sembra molto convinta di questa strada, o meglio ha deciso, almeno in questo caso, di non prendersi sul serio. E lo ha fatto col personaggio che più poteva cavalcare questa onda, ossia Deadpool, con la sua inconfondibile quarta parete.

Deadpool & Wolverine è infatti una gran cazzatona, un pretesto per far menare per bene due personaggi Marvel, vederli prendersi a pizze e vedere tanto sangue. In questo per me Shawn Levy è stato molto bravo, regalandoci sequenze davvero fighissime, tanto che pareva di vedere Mortal Kombat (il videogioco, non il film).

Il punto debole è inevitabilmente la scrittura, che seppur funzioni, lascia molto perplessi sulla sua validità. Per intendersi, se i personaggi non fossero quelli ma altri, qualsiasi produttore avrebbe bocciato una sceneggiatura che si basa su un personaggio il cui passato non vediamo mai e uno il cui desiderio scatenante è accennato all’inizio del film e basta. Insomma, un arraffazzonamento di idee che non sono sbagliate ma poco valide.

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Recensione Un oggi alla volta, la nuova commedia romantica di Nicola Conversa

A partire da Deapool che vuole entrare negli Avengers, all’ancora universale, al Mister Paradox, il ripper temporale, alla sorella di Xavier e al vuoto della Fox. Troppe cose presentate in un terzo capitolo della saga e tanta, tanta sospensione dell’incredulità, che anche loro sono consapevoli di aver richiesto ma non tutti sono disposti a concedere.

E poi purtroppo si torna sempre lì, il messaggio finale, la conclusione dell’arco narrativo dei personaggi è talmente banale e tirato, che si rimpiangono i vecchi film. Va bene che la Marvel è questo, ma credo che ancora si possano raccontare delle belle storie con questi personaggi, storie profonde e che hanno un bel messaggio da veicolare.

deadpool & Wolverine

In conclusione, un film divertente e spensierato con scene d’azione davvero fighissime, ma con una trama davvero risicata e che lascia davvero perplessi. Un pretesto per far picchiare Deadpool & Wolverine e prendere in giro la Disney come la Fox. Un terzo capitolo non all’altezza dei primi due ma che regala tanto intrattenimento.

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UN OGGI ALLA VOLTA, la nuova commedia romantica con Cassissa – [Recensione]

un oggi alla volta

Recensione di “Un oggi alla volta”, la nuova commedia romantica con Cassissa, prima opera di Nicola Conversa con Katia Follesa e Cesare Bocci

Oggi ho deciso di andarmi a guardare il primo film di Nicola Conversa, che mi aveva convinto nel suo corto a Venezia “La bambola di pezza”. Curioso anche per la conferma della collaborazione con Cassissa, in un afoso lunedì di luglio e con aspettative piuttosto basse.

Dopo la visione sono davvero contento di essermi ricreduto, per un film dal gusto italiano ma con la freschezza di una regia delle intuizioni, seppur caute in quanto prima opera, pregevoli.

Un oggi alla volta è una commedia romantica rivolta a un target giovane, di cui io faccio parte, che sa toccare nei suoi snodi più cruciali la sintesi della vita adolescenziale. La narrazione che gira intorno a Marco costruisce la figura del ragazzo medio, dalla situazione scolastica, al rapporto con i genitori, dalla sfera relazionale, alla imprevedibilità degli eventi che gli accadono.

La ricerca del film dunque di empatia da parte dello spettatore è chiara. La ragazza che ti piace non ti risponde, poi quella con cui ti scrivi non vuole vederti, per lei fai cose stupide, ti innamori, poi per caso finisci per vederti sempre. Una storia normale, che scena dopo scena ripercorre quella che un po’ tutti abbiamo avuto.

Fin dall’inizio si respira quell’aria di familiarità, che quella storia stia parlando proprio a noi e che possa raccontare le gioie e i dolori che tutti abbiamo vissuto. Poi però la storia prende un’altra piega. Improvvisamente non riusciamo più a rivederci in quello che accade. Quell’amore tanto simile al nostro non si concilia più con le emozioni del protagonista. La narrazione assume delle ombre e tutto sembra che si concluderà col solito epilogo dell’amore che vince contro la malattia. Iniziano a risuonare le premesse “io voglio solo innamorarmi” che sta benissimo con “ti amerò anche se finirai in carrozzina”.

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Recensione Civil War, la distopia attraverso un obiettivo

E qui il colpo di scena, che come tutti i colpi di scena è prevedibile quanto sorprendente. Il finale, quel finale, non parla direttamente a noi, che volevamo la storia d’amore dei nostri sogni, che vorremmo che i protagonisti si baciassero per 1h e 40 di fila così ci illudiamo ancora. Parla a Marco. A quella storia lì.

Il film non ha la pretesa di voler veicolare un messaggio universale. Un oggi alla volta, se vogliamo essere banali, vuol dire tutto, se non vogliamo esserlo, vuol dire nulla. A Marco, come noi tutti, non vuol dire nulla, perché noi tutti vogliamo solo innamorarci. Ad Aria vuol dire tutto, perché alcune sfide vanno affrontate piano piano.

Ed è qui che forse il film pecca più di tutto. Questa pretesa di rivolgersi solo a chi ha affrontato una malattia così grave in giovane età talvolta cozza con questo desiderio di raccontare il ragazzo comune, con i problemi di tutti. Un oggi alla volta è dunque vivere la vita secondo i nostri sentimenti senza dover programmare e aspettare, come Aria, finendo per non avere il tempo, oppure è vivere affrontando la maturità, le audizioni, la malattia un passettino alla volta?

La sensazione durante i titoli di cosa è di distruzione emotiva, ma questa distruzione riguarda solo Marco, non me e quindi sì, forse piangiamo, ma il mio modello di vita è rimasto intatto. E da una parte questa cosa mi ha fatto sentire bene nonostante la devastazione, dall’altra mi ha fatto rosicare perché poteva davvero diventare una storia catartica.

un oggi alla volta

Detto questo sono sorpreso da una regia coraggiosa, dalla semina in sceneggiatura che ritorna piano piano nel corso della pellicola, dalle frasi che tornano maledettente e dalla capacità straordinaria di Conversa di accarezzare lo spettatore è toccarlo nel profondo, anche talvolta con poesia. Il film si presenta con la giusta assurdità da commedia e con la giusta dose di romance.

Un post scriptum di elogio ad Andrea Stocchino per ARIA, che ho ascoltato in loop dopo la visione. 

In conclusione, una commedia romantica dal gusto italiano ma con una freschezza singolare, soprattutto nell’approccio alla storia che vuole raccontare, senza troppe pretese narrative ma anzi con una umanità che travolge. Una storia viva che si rivolge a tutti toccando le giuste corde di un pubblico giovane.

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FURIOSA: A MAD MAX SAGA – [Recensione]

Mad Max Il regista afferma che ha gia un nuovo prequel da produrre dopo Furiosa

Recensione di Furiosa: a Mad Max Saga, il nuovo film del franchise di Fury Road con Anya Taylor-Joy e Chris Hemsworth per la regia d MiIller

Avevo basse aspettative per questo film, in quanto ho amato Mad Max Fury Road e non voleva crearmi troppo hype per un film che esce 9 anni dopo ed è un prequel, soprattutto usando sembra che i produttori allarghino i franchise solo per avere il nome famoso per il proprio film.

Ma in realtà questo film mi ha davvero soddisfatto. È il classico film a cui avrei dato 8,5 se dessimo i voti a mezzo, ma è proprio tra quelle pellicole che sfiorano l’ottimo e sono molto più di buono. Ha superato di gran lunga le aspettative.
Miller riporta in sala il mondo distopico che avevamo amato nei precedenti capitoli della saga non variandone in nessun modo la natura e le caratteristiche. Stavolta però dà molto più spazio ai dialoghi e alla narrazione, mantenendo tuttavia l’azione nella maggioranza delle sequenze e evitando gli spiegoni didascalici.

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Miller vorrebbe fare un altro prequel oltre a Furiosa

Furiosa è in tutto e per tutto un film di intrattenimento dai toni epici e dal messaggio attualissimo in sottofondo, capace di non calare mai nella qualità degli effetti speciali e della componente action.
La trama, seppur semplice, è certamente più articolata del suo precedente, e talvolta si dilunga in frangenti piuttosto superflui, facendo risultare a tratti il ritmo leggermente lento. Alla fine non si accusano troppo le due ore e mezza, ma forse avrei asciugato alcune parti, forse l’inizio.

Anya Taylor -Joy è assolutamente all’altezza del ruolo, così come Chris Hemsworth, che più che l’antennista risulta uno degli antagonisti. Poco sviluppato ma centrato è il personaggio di, che fa da versione embrionale di Max.
E forse questa è l’unica cosa che fa storcere il naso: il tentativo di strizzare l’occhiolino allo spettatore per fare il paragone con Fury Road. Che forse è più un autoreferenzialismo…non stucca, sia chiaro, m talvolta sembra non necessario.

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In conclusione, il film è un ottimo bluckbuster che intrattiene con qualità negli effetti speciali, nella componente action e nella regia. La trama, stavolta più articolata, dà spazio ai personaggi e ai meccanismi del mondo di Mad Max. Peccato per alcune parti inutilmente lente che fanno sentire le due ore e mezza.

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CIVIL WAR, la distopia attraverso un obiettivo – [Recensione]

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Recensione di “Civil War”, una storia distopica raccontata attraverso un obiettivo di giornalisti di guerra, dalla regia di Alex Garland

Le aspettative per questo film erano davvero neutre, non avevo alcuna pretesa se non vedere la parte action ben diretta come Garland, il regista, è solito portare in sala.

Ma la cosa che più mi ha colpito di questa pellicola è stato il modo in cui hanno portato in scena una tematica più volte trattata, soprattutto sul piano narrativo e registico. Infatti per me la scelta del giornalismo di guerra è assolutamente azzeccato per la storia che hanno voluto narrare.

Il film è ambientato in un’America post apocalittica in pratica, dove è scoppiata una guerra civile sanguinosa e devastante per tutto il paese. La narrazione ci porta a seguire le vicende di quattro giornalisti, il cui intento è andare a intervistare il presidente degli Stati Uniti. Il lungo viaggio per Washington dà l’occasione ai personaggi di conoscersi ma anche di documentare gli orrori che vedono e di cui hanno esperienza. Ormai è un far west, e in ogni luogo in cui si fermano qualcuno prova ad ucciderli.

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L’espediente più interessante è l’uso della fotografia, attraverso cui le scene vengono spesso raccontate, per frame, per immagini scattate dai giornalisti. Infatti si creano degli effetti visivi e sonori molto efficaci, per cui nel mezzo di una scena action movimentata e in cui le raffiche di spari sono protagonisti, le fotografie in bianco e nero appaiono a schermo, fissando da un altro punto di vista ciò che sta accadendo, in modo spesso crudo ma allo stesso tempo scenicamente spettacolare.

Le vicende hanno sempre una grande efficacia narrativa, riuscendo sempre a tenere la tensione alta, ma a mio avviso l’intreccio ha un inizio, sviluppo e conclusione piuttosto deboli, non in credibilità, ma quasi in livello di esser interessanti. Il film non racconta nessun viaggio psicologico ma le vicende di personaggi le cui personalità sono solo scalfite ma mai approfondite.

L’impressione a fine film è stata di aver assistito a un viaggio, seppur di intensa umanità, sterile. Forse perché non si spiega mai come mai c’è una guerra civile in America, forse perché non c’è un epilogo ma solo un finale, ma inevitabilmente la mia reazione è stata “sì, ok e quindi?”

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Al di là però di questa occasione sprecata per lanciare un messaggio forte, la messa in scena della storia è ben diretta e scritta in modo molto efficace, tale da tenere la tensione sempre alta. L’espediente delle fotografie conferisce non solo spettacolarità  alla pellicola, ma racconta un lato spesso in secondo piano delle crudeltà delle guerre.

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Per informazioni ufficiali qui il sito di DNA Films.

Final Fantasy VII Rebirth, un’imperfetta meraviglia [Recensione]

Final Fantasy VII Rebirth recensione

Square Enix riesce nell’assurda impresa di far rivivere emozioni che si credevano perse. E lo fa in un periodo storico in cui i tripla A sono ricchi di qualsiasi cosa meno che di magia.

Dopo Final Fantasy VII Remake era naturale provare sia eccitazione che preoccupazione per il secondo capitolo di questo progetto firmato Square Enix. Nel 2020 divenne infatti chiaro a tutti che la dicitura “remake” fosse solo una messa in scena. Rebirth, in maniera anche piuttosto plateale, riconferma che ci troviamo dinanzi a un vero e proprio sequel di quell’incredibile titolo che nel 1997 fece sognare milioni di videogiocatori. Un polpettone ripieno di tutto ciò che, nel bene e soprattutto nel male, fa parte della Compilation di Final Fantasy VII. Dunque non posso che iniziare questa recensione consigliando vivamente di recuperare il titolo originale, nel caso in cui non l’aveste già fatto, prima di immergervi in questa sua nuova interpretazione.

Se volete saperne di più sulla serie di Final Fantasy in generale vi rimando a questo articolo: Tutti i Final Fantasy spiegati brevemente

Una bellissima storia vittima di un pessimo autore

La trama di Final Fantasy VII Rebirth inizia esattamente dove il precedente titolo si era concluso. Cloud e i suoi compagni hanno lasciato Midgar e si preparano per un lungo viaggio con l’obiettivo di fermare Sephiroth. Il canovaccio della storia rimane fedele al primo disco dell’originale Final Fantasy VII per gran parte dell’avventura. Sezioni iconiche come Corel, il Golden Saucer e Cosmo Canyon sono trattate con grande attenzione e rispetto. Purtroppo, proprio come nel Remake, in alcuni punti il ritmo rallenta a causa di allungamenti forse superflui. Nonostante ciò, nel complesso, la trama è coinvolgente, i personaggi sono ben sviluppati (come si vede raramente in produzioni simili) e la messa in scena di alcuni eventi è semplicemente fenomenale. Complice anche la colonna sonora, tra le migliori mai realizzate all’interno della serie e non solo, un vero capolavoro.

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Tuttavia devo segnalare che l’ultimo capitolo del gioco potrebbe far storcere il naso a molti fan di vecchia data. Se il finale di FF VII Remake poteva sembrare esagerato, qui si è addirittura andati oltre. Il problema principale, come spesso accade, è l’estro creativo di Nomura. Forse è giunto il momento che inizi a moderarsi poiché in veste di scrittore appare sempre più come una parodia di se stesso. Se i Kingdom Hearts sono titoli atroci dal punto di vista della scrittura, Final Fantasy VII Rebirth si salva in corner solo perché poggia su delle basi solide che più di tanto non possono essere alterate, per fortuna.

Fantasia fatta realtà

Final Fantasy VII Rebirth è un vero e proprio luna park: avventura, esplorazione, combattimenti e una miriade di minigiochi. Alcuni dei quali ripresi dal titolo originale, mentre altri sono stati creati appositamente per questo capitolo. Tra questi spicca l’eccezionale gioco di carte collezionabili Queen’s Blood, erede spirituale dell’iconico Triple Triad di Final Fantasy VIII.

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Il gioco è suddiviso in capitoli, e la struttura di FF VII Rebirth si presenta come una combinazione tra sezioni lineari, generalmente quelle dove la trama prosegue, e ampie zone open map. Con mia sorpresa queste aree aperte sono ben progettate, contrariamente a quanto visto in Final Fantasy XVI. Ognuna di esse, tramite anche l’utilizzo di specifici tipi di Chocobo, presenta meccaniche di navigazione uniche che rendono il tutto ben variegato e caratterizzato. Una bella citazione a Final Fantasy IX. Nonostante non si tratti di una rivoluzione, le mappe sono davvero piacevoli da esplorare e offrono la giusta quantità di attività secondarie (un plauso alle quest secondarie che fanno parecchi passi in avanti rispetto ad altri titoli di questo genere), il tutto accompagnato da un’estetica mozzafiato, ma in questo raramente Square Enix sbaglia.

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La violenza non è mai stata così divertente

Protagonista indiscusso della produzione è il combat system, che rappresenta probabilmente il miglior sistema di combattimento mai visto in un action JRPG. Mentre in Final Fantasy VII Remake le potenzialità del sistema erano percepibili, i limiti imposti dall’esperienza impedivano di vedere fino a dove si sarebbe potuti arrivare. In Rebirth, invece, non ci sono limiti, e il sistema di combattimento brilla come il sole.

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Torna l’elegante commistione tra azione e strategia, insieme all’unicità di ciascun personaggio, ben differenziato l’uno dall’altro. L’uso brillante delle materie e della barra ATB è rimasto pressoché invariato rispetto al precedente capitolo, ma ciò che aggiunge ancor più profondità sono le azioni sinergiche. Questi attacchi e tecniche realizzati insieme ad un membro del party non consumano alcuna risorsa, ma richiedono una sincronizzazione perfetta. Sebbene in alcuni momenti il caos dell’azione rischi di prendere il sopravvento sulla pulizia del combat system, sono rare le occasioni in cui non si percepisce di avere totale controllo su ciò che accade.

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Tecnicismi vari

Come detto sopra, di paesaggi mozzafiato ce ne sono a volontà. Il character design è perfetto e dal punto di vista tecnico il gioco in modalità prestazioni è quasi sempre stabile, su oltre 100 ore di gioco (la longevità e la mole di contenuti sono smisurate) mi è capitato di notare vistosi cali di frame, bug o altri problemi giusto in un paio di occasioni. Comunque nulla che mi impedisse di giocare o proseguire serenamente l’avventura. Lato grafico non siamo di fronte ad un capolavoro, sebbene il colpo d’occhio sia di notevole impatto. L’illuminazione iper realistica di Unreal Engine ogni tanto “smarmella” la scena, creando effetti di luce non proprio eccezionali.

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Il mixaggio sonoro non è preciso, come si nota sempre più spesso nelle produzioni tripla A. In molte occasioni la musica, per quanto incantevole, sovrasta le voci in maniera tale da rendere difficile sentire i dialoghi. Consiglio quindi di abbassare il volume di musica ed effetti sonori, lasciando invariato quello delle voci. Ottimi i doppiaggi in inglese e giapponese. Da segnalare che la traduzione italiana è basata sulla lingua giapponese, quindi sono presenti vistose discrepanze tra audio e sottotitoli se giocato con il doppiaggio inglese.

Sito ufficiale Square Enix.

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LA ZONA D’INTERESSE, film candidato a 5 Oscar – [Recensione]

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Recensione de “La zona d’interesse”, film candidato a 5 Oscar, tra cui miglior film e miglior film straniero, per la regia di Jonathan Glazer

Avevo alte aspettative per un film di cui avevano parlato benissimo e che ha ricevuto 5 nomination agli oscar. E posso ritenermi soddisfatto delle premesse.

“La zona d’interesse” è un film, come molti lo hanno definito, disturbante. E in effetti è la sensazione dominante per tutta la durata della pellicola, in cui lo spettatore è testimone di una vita comune, umana in un paradiso terrestre, ma che in realtà convive con una delle atrocità più gravi di tutta la storia dell’umanità.

Questa vita parallela lontana dalle crudeltà di Auschwitz viene caratterizzata da scena di estrema umanità, in cui si tenta di far empatizzare lo spettatore con le bizze dei bambini, la loro curiosità per il giardino, la notte insonni rimediate con una favola della buonanotte, ma allo stesso tempo con scene che provocano odio per questa famiglia assolutamente conforme all’ideologia della Germania nazista dell’epoca.

Questo connubio di sensazioni fa scaturire un profondo fastidio, accentuato dai mille dettagli nascosti che raccontano ciò che accade dentro le mura, senza mai mostrare nulla. Protagonista qui è il sonoro, che racconta un sottofondo inquietante, lasciando allo spettatore un’interpretazione che rende ciò che succede in scena un peso allo stomaco.

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Recensione “Perfect Days”, film candidato agli oscar

Questa ottima idea si perde però dopo circa un’ora di film, da quando poi sembra che abbia finito ciò che vorrebbe dire, a meno di un finale davvero efficace. Purtroppo, la trama si dipana in modo disunito, senza un vero e proprio finale o spannung, ma con delle sequenze potenti per il significato, ma sostanzialmente evitabili.

Ancora non ho compreso a pieno la sottotrama in negativo, non del tutto sviluppata e dall’interpretazione incerta. Una specie di piano di sabotaggio da parte della figlia di Rudolph, ma che non trova molto spazio all’interno della narrazione

  La regia chirurgica si distacca da qualsiasi tipo di piani intimi, lasciando invece spazio agli ambienti. L’interpretazione precisa e mai macchiettistica dei personaggi dipinge una “banalità del male” molto impattante, capace di lanciare un messaggio che arriva dritto allo stomaco allo spettatore. Geniale la scelta dei silenzi, delle pause, contrapposte al disturbante rumore confuso dell’epilogo e del prologo.

In conclusione, un film capace di provocare fastidio allo spettatore per tutta la durata della pellicola, in cui è testimone della vita comune di una famiglia dipinta come umana, ma che convive con le atrocità dell’olocausto. Una storia capace di suscitare angoscia attraverso la semplicità di azioni quotidiane, svolte però da persone non preoccupate dei crimini di cui si stanno macchiando, il tutto con un sottofondo di suoni lontani che raccontano una storia a sé.

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Alla prossima recensione

PERFECT DAYS, il film candidato agli oscar – [Recensione]

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Recensione di “Perfect Days”, il film candidato agli oscar come miglior film straniero, dalla regia di Wenders.

Ero incuriosito dal film, soprattutto per i riconoscimenti ricevuti a Cannes, ma non ero riuscito ad andare in sala, così l’ho recuperato solo ora, anche perché è candidato agli oscar come miglior film straniero. Ecco la recensione di “Perfect days”

“Perfect Days” è un film delicato che accarezza il cuore e lo accompagna all’interno della vita di Harayama, un uomo di mezza età che vive da solo a Tokyo, dove lavora nelle pulizie dei bagni pubblici. Le sue giornate, i suoi perfect days, sono scaglionati da una routine fissa, composta da gesti quotidiani, piccoli piaceri, gioie che scaturiscono da dettagli nascosti.

Wenders è maestro nel mostrare le stesse azioni che caratterizzano le giornate del protagonista, sempre in modo diverso, dando un taglio ogni volta differente, da un punto di vista sempre nuovo, esaltando le piccole novità che accadono a Harayama, conferendone importanza e mostrando come originino stimoli nuovi.

Il film si limita a mostrare la vita semplice, umile, di una persona dal difficile turbamento, che nonostante la sua vita, appare più felice di tutti gli altri personaggi che incontra. La sua routine schematica nasconde la ricetta per una vita Epicurea, che agli occhi della nostra società frenetica pare di poco valore, forse perché è così difficile pensare che Sisifo sia contento.

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Recensione Past Lives, candidato agli oscar come miglior film

L’interpretazione di Yakusho riesce sempre in ogni scena a mostrare il lato umano di un uomo completamente isolato dal mondo, estraneo a ogni tipo di progresso, ancora attaccato alle sue usanze, alle sue misure, ai suoi bisogni. La recitazione fatta di sguardi, di sorrisi, di non detti lascia suggerire una completa condizione di “essersi accontentato”.

Nonostante le sue passioni umili come la lettura, la fotografia, la botanica, però il finale ci pone una domanda che all’apparenza abbia già una risposta, in quanto il film non pare non abbia bisogno di interpretazioni: ma Harayama, è felice?

La domanda con cui sono uscito dalla sala non ha bisogno di una risposta, perché non è importante, è importante chiedersi se noi saremmo felici se avessimo la sua vita. Il film non mostra alcun tipo di tentativo di fuggire o cambiare la propria vita, mentre ci mostra Takashi in preda all’insoddisfazione. Forse allora non c’è una critica alla società che ha reso Harayama così, ma piuttosto un dubbio se siamo noi che stiamo regredendo e ci sembra impossibile che la felicità sia quella, oppure Harayama si è quasi rassegnato, ma direi accontentato di una vita semplice.

Perfect Days
Perfect Days

In conclusione, “Perfect Days” è un film delicato che accarezza il cuore e lo accompagna all’interno della vita di Harayama, interpretato squisitamente da Yakusho. Il protagonista mette in crisi le certezze della nostra società, riflettendo su come la vita sia fatta di semplicità e piccole cose, risultando il più felice tra tutti i personaggi che incontra, il tutto guidato dalla regia magnifica di Wenders.

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Tents and Trees – Campeggio e strategia [Recensione]

Tents and Trees Campeggio e strategia [Recensione]

Ecco la mia recensione di “Tents and Trees”, il rompicapo ambientato nella natura sviluppato dalla Frozax Games!

Grazie alla Frozax Games per avermi concesso, tramite Keymailer, la chiave che mi ha permesso di provare su Nintendo Switch il loro titolo Tents and Trees e di scriverne questa recensione!

Steam descrive il gioco come “un rompicapo ambientato in mezzo alla natura”, invitando a pensare “in modo strategico a come posizionare le tende nell’universo pacifico di Tents and Trees”.

Lo scopo del gioco è, infatti, sistemare le tende all’interno di una griglia, seguendo le indicazioni dei numeri per capire quante tende possano essere posizionare in ciascuna riga e colonna.

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Attenzione, però: le tende non possono toccarsi tra di loro. Ogni livello ha un’unica soluzione, il che rende la sfida doppiamente avvincente e vi spingerà a pianificare con cura ogni vostra mossa.

Superando un livello dopo l’altro, le griglie diventeranno sempre più grandi e i puzzle sempre più impegnativi, costringendovi a sviluppare strategie sempre nuove. I livelli sono migliaia, e ogni giorno potrete cimentarvi in un nuovo livello giornaliero esclusivo.

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Se vi trovate in una situazione di stallo, non preoccupatevi: il gioco offre suggerimenti gratuiti illimitati, oltre alla possibilità di mettere in pausa un livello e tornarci più tardi, senza fretta.

Anche a livello di personalizzazione, il gioco non si fa trovare impreparato. Se la modalità chiara e luminosa del gioco non vi attira, potrete scegliere tra la modalità scura e altri temi da sbloccare nel corso del gioco. Tents and Trees offre anche numerose tracce musicali diverse, volte a rendere l’esperienza ancora più rilassante.

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Uno dei punti di forza di Tents and Trees è sicuramente la possibilità di giocarlo sia in solitaria che in compagnia, in co-op locale fino a 4 persone.

Tents and Trees è già disponibile per Nintendo Switch e arriverà su Steam il 24 aprile 2024! Se volete provare la demo del gioco e aggiungerlo alla vostra lista dei desideri, vi lascio il link alla pagina di Steam!

[ARTICOLO IN AGGIORNAMENTO]