DUNE PARTE 2, il colossal di fantascienza del 2024 – [Recensione]

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Recensione di “Dune parte 2”, il colossal di fantascienza del 2024 di Villeneuve, con protagonista Chalamet, tratto dai romanzi di Herbert

Le aspettative per questo film erano davvero alte, per una serie di motivi: il regista, il romanzo blasonato, gli accostamenti con la monumentalità del Signore degli Anelli.
Dopo la visione in sala posso ritenermi molto soddisfatto del lavoro di Villeneuve, che è riuscito a portare al cinema un film maestoso dall’epicità incredibile.

Dopo un primo capitolo incentrato soprattutto sul worldbuilding complesso dell’universo di Dune, in questo ci si concentra più su una narrazione distesa, sempre dando molta importanza al lato tecnico.
Seppur paia non succeda quasi nulla in 2h46 di film, in realtà ci si concentra più sulla psicologia dei personaggi, sviluppandosi meglio le relazioni e i caratteri.

La narrazione amplia la mitologia dei Fremen e dà spazio anche alla casata Arkonnen, di cui conosciamo meglio gli intrighi.
La comprensione maggiore dei rapporti e dei meccanismi che regolano gli equilibri dell’universo conduce lo spettatore all’incertezza continua dei comportamenti dei personaggi, i cui fini sono sempre altri.

L’emblema di ciò è Paul, già nella prima parte dipinto come un personaggio positivo ma ambiguo, in questa second aparte assume ancora più sfumature oscure, finendo quasi per diventare un tiranno che persegue la sua sete di potere sfruttando la fede di un popolo a cui è rimasta solo la speranza.

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Recensione di Past Lives, candidato agli Oscar come miglior film

Quella del Muad’Dib è una storiella raccontata ai Fremen, in realtà è una figura che allevano, non che giunge. E Paul, accecato dalla sete di vendetta per il padre, traviato dall’influenza della madre e incitato dai Fremen, coniuga sapientemente le volontà del popolo del deserto mosso dall’emotività della fede e i suoi scopi personali per perseguire ideali come l’onore e il potere.
L’impianto tecnico portato in sala  è la trama tessuta dalla pellicola conferiscono al film una epicità singolare. Lo spettatore rimane incollato ed estasiato per tutto il film e il minutaggio non pesa minimamente.

Il finale a tratti anticlimatico che si risolve in pochi minuti dimostra come l’intento del film non sia di replicare una battaglia eroica e avvincente di cui abbiamo solo alcuni assaggi, una battaglia dei campi di Pelennor, ma sia quello di raccontare la storia di un popolo che compie un’impresa epica grazie alle narrazioni religiose che si autoalimentano.

dune part two review
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In conclusione, un film maestoso che mette in scena l’ascesa di Paul alla guida del popolo Fremen oscurando il suo personaggio tanto da non capire più se sai positivo o negativo. L’impianto tecnico stupefacente immerge lo spettatore nel deserto di Dune ampliandone la mitologia e sviscerando gli intrighi politici con colpi di scena inaspettati, dando maggior attenzione alla psicologia dei personaggi. Supera il precedente facendo ben sperare in una parte tre ancora migliore.

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PAST LIVES, il film candidato come miglior film agli Oscar – [Recensione]

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Recensione di “Past Lives”, il film candidato come miglior film e miglior sceneggiatura originale agli Oscar, dalla regista Song

Prima di andare in sala ero molto curioso di scoprire questo film, dato che si diceva fosse uno dei papabili vincitori per l’Oscar al miglior film straniero. Dopo la visione sono abbastanza convinto di questa opininone, anche se aqncora spero tanto per Io Capitano!

Past Lives è infatti un film delizioso, dai toni cupi e allo stesso tempo dolci. La regista Song ha messo in scena una storia molto personale, forse non autobiografica ma che rispecchia sicuramente dei tratti in cui molti possono ritrovarsi. La narrazione temporale presenta dei salti nelle vite di due personaggi dalle storie complicate, le cui strade, dopo essersi divise, si rincontrano.

La forza principale i questi personaggi non è certo la caratterizzazione, che ho trovato abbastanza esplicitata e non mostrata, ma bensì la loro psicologia. Non sappiamo quasi nulla, o meglio non ci sono scene in cui vediamo all’opera i due protagonisti Nora e Hae Sung nelle loro vite fuori dall’interazione tra loro, e quindi, al di là del marito di Nora nel finale, non capiamo bene che cosa affrontano nel mondo i due personaggi quando si devono lasciare.

Possiamo dedurre che siano vite nella normali, ma evidentemente non bastano, perché sentono che tra di loro c’è un qualcosa di più grande. L’intento del film non è certo questo però, è invece quello di mostrare una storia intima di due persone che si fanno domande su come sarebbe potuta andare la loro vita se l’evento tragico dell’emigrazione non fosse accaduto.

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Recensione Povere Creature!, la fiaba moderna di Lanthimos

Nonostante ci venga mostrato solo uno spaccato per volta delle loro vite, in ellissi temporali di 12 anni l’una, risulta comunque a primo impatto assurdo che due persone che vivono a migliaia di km di distanza e non si frequentino da anni possano provare una così forte attrazione da volersi incontrare a tutti i costi. Ma alla fine del film, anche grazie a un climax da magistrale, anche lo spettatore inizia a chiedersi, se nella stessa situazione, come si sarebbe comportato.

Ed è qui che il film porta in scena in modo vincente la il suo punto di forza maggiore: la continua incertezza. I personaggi sono in continuo conflitto personale per un amore non sbocciato che non riescono a superare poiché è difficile scendere a patti col passato. Fino all’ultimo vediamo l’evoluzione di questo rapporto funestato da scelte non completamente volontarie, ma che in modo abbozzato più volte viene ricucito.

Durante la visione mi sono accorto di essere passato più volte ad alternanza a voler o non volere un lieto fine per la relazione, perché via via che progredivano gli eventi, si accavallavano motivazioni più o meno valide, che alla fine del film. ho raccolto e mi hanno dato fastidio, mi hanno messo in crisi, portandomi a riflettere sull’autenticità delle nostre vite, e di come siano a volte decisioni che prendiamo a cambiare radicalmente tutto.

Past Lives”, un grande film sentimentale che sa emozionare - Il Sole 24 ORE
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In conclusione, una storia d’amore che mette in crisi raccontando le funestate vicende di due personaggi distanti fisicamente ma legati da un passato con cui non riescono a fare pace, in grado di far riflettere sulle proprie scelte di vita e sull’autenticità delle proprie relazioni. Una storia intima dal ritmo lento che, attraverso la metafora delle “Past Lives”, porta in scena personaggi dalla psicologia complessa che tengono in tensione lo spettatore fino alla fine.

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THE HOLDOVERS – Lezioni di vita – [Recensione]

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Recensione di “The Holdovers – Lezioni di vita”, il nuovo film di Alexander Payne candidato agli oscar come miglior film e miglior attore

Le aspettative per il film non erano altissime, in quanto dai trailer trasudava una americanità davvero stucchevole per i miei gusti, tolleranti ma fino a un certo punto. Solo le candidature ricevute mi avevano spinto ad andare in sala, e dopo la visione non posso che ritenermi soddisfatto.

The Holdovers è una commedia molto americana, effettivamente, dalla trama interessante e dai personaggi ben approfonditi. La componente comica c’è e non è mai inadeguata, anzi sempre brillante e originale, dunque non c’è che da elogiare la scrittura. La recitazione inoltre è di ottimo livello, da parte di tutti i personaggi principali.

Il punto di forza, però di questo film è il contrasto che si va a creare tra i due personaggi principali, opposti in condotta, valori, età, interessi e provenienze sociali. La loro convivenza forzata origina indubbiamente peripezie negative, che nuocciono ad entrambi. Le loro vacanze dunque si trasformano in un periodo in cui devono tentare di combattere la noia, e il giovane Angus fa di tutto per sfogare la propria rabbia. E il loro confronto, che risulta sempre essere un attrito, li spinge anche a conoscersi meglio e a scoprirsi.

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Recensione “Povere Creature!”, la fiaba moderna di Lanthimos

Questa conoscenza porta benefici ad entrambi, che, soli, si aprono più facilmente e riescono a confidarsi meglio. Questa influenza reciproca porta ambedue i personaggi a compiere un arco evolutivo significativo, ma a mio parere, dietro a questa simpatica storia, si nasconde una critica verso il sistema americano che frantuma le famiglie finendo per creare persone con disagi e frustrazioni.

È esemplificativa questa storia, il cui scopo principale è appunto di creare un contesto comico e divertire, di come l’allontanamento così drastico delle persone dal proprio nucleo familiare, che sia per lavoro o per studiare, soprattutto da così giovani, sia deleterio nella crescita personale e nella costruzione della propria vita. Entrambi i personaggi sono assolutamente vittime di questo sistema che, più evidente tra tutte le conseguenze, non gli permette di trascorrere anche solo le vacanze natalizie serenamente con la propria famiglia, ma sono costretti a rimanere rinchiusi in una scuola vuota e priva di svaghi.

The Holdovers - Lezioni di vita - Wikipedia

In conclusione, il film è un’ottima commedia dal gusto americano che gira tutta intorno alla contrapposizione tra i due personaggi principali, che seppur opposti, sono costretti a una convivenza forzata. L’efficace recitazione mette in luce le problematiche del sistema deleterio americano, riuscendo anche a strappare ben più di un sorriso.

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POVERE CREATURE!, la fiaba moderna di Lanthimos – [Recensione]

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Recensione di “Povere Creature!”, la fiaba moderna di Lanthimos con Emma Stone, Willem Dafoe e Mark Ruffalo.

Le aspettative per questo film erano enormi, in quanto il cast, il regista e gli elogi della critica avevano creato un hype abbastanza sentito. Dopo la visione mi sono chiesto se fossi soddisfatto, ma la risposta non è giunta per almeno due giorni. Ecco la mia recensione di Povere Creature!

Il film è certamente una perla dal punto di vista registico, di scenografie e attoriale. Lanthimos è riuscito a dare vita a una fiaba dal gusto espressionista grazie al virtuosismo della regia e alla performance attoriale incredibile di tutti gli interpreti. La sensazione però è stata di ridondanza e perdita dell’obiettivo principale.

Il film mi è piaciuto, Lanthimos è stato in grado di narrare una storia surreale e stimolante allo stesso tempo, i cui snodi narrativi però mi sono apparsi abbastanza sterili. Ho notato infatti come la trama si regga per lo più su pretesti il cui senso mi è stato incomprensibile. Come se avessero in mente di cosa voler parlare, ma avessero esaurito i modi dopo la prima ora. Inoltre l’ultima parte, dove arriva l’ex marito, per me poteva essere tagliata, non sarebbe cambiato molto.

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Il personaggio di Bella, interpretato impeccabilmente da Emma Stone, progredisce con l’andare del film, ma a un certo punto i progressi sembra li abbia terminati, sostituendoli con una storia normale di avventura. Il personaggio, slegato da ogni convenzione sociale, continua a voler scoprire il mondo, anche essendo disposta ad abbandonare il matrimonio a cui era promessa. Non vi è dunque un cambiamento in lei, che all’inizio e alla fine della pellicola si trova nella stessa posizione, in quanto rimane ella stessa borderline e anticonvenzionale.

Il film però esplica bene il tema del film: la libertà. E ci riesce attraverso un espediente per me efficacissimo ovvero il surrealismo. Una storia tra il fantastico e il fantascientifico, che racconta la nostra società attraverso metafore assolutamente azzeccate, come Stevenson aveva fatto con “Lo strano caso del Dr. Jeckell e Mr. Hyde”.

PoorThings
PoorThings

In conclusione, una fiaba moderna dal gusto surrealista che mette in luce alcune problematiche della nostra società attraverso il personaggio di Emma Stone, interpretato magistralmente, il tutto arricchito da una regia, una scenografia, una colonna sonora e una recitazione eccezionali. Purtroppo il film dà la sensazione di essere ridondante, come se dopo aver presentato le tematiche non fosse in grado di svilupparle.

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WONKA, il nuovo film con Timothée Chalamet – [Recensione]

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Recensione di “Wonka”, il nuovo film con Timothée Chalamet ispirato al famoso libro di Roald Dahl “La fabbrica di cioccolato”

I trailer di questo film non mi avevano proprio convinto, perché mi sembrava un Wonka troppo diverso da quello di Burton, talvolta troppo sopra le righe, ma giunto in sala mi sono ricreduto. Non sono un particolare fan della storia di Dahl, nonostante abbia letto sia “La fabbrica di cioccolato” sia “L’ascensore di cristallo”, apprezzo molto il lavoro di Burton ma non così tanto da non accettare alcun tipo di reinterpretazione.

E dal mio punto di vista questa è la chiave di lettura per questo film, che certamente vuole distinguersi da Gene Wilder e da Johnny Depp, dando vita a un Willy Wonka molto più musical. Timothée Chalamet è riuscito, infatti, a conferire al personaggio una sua impronta personale molto ridanciana, che si distacca un po’ dalla caratterizzazione un po’ grottesca delle precedenti interpretazioni.

E leggendo il film in questa chiave direi che funziona quasi tutto. Molto carina la storia, seppur semplice riesce anche nelle sue ingenuità, nelle sue sospensioni dell’incredulità ad intrattenere con un prequel che ci sta tutto per la storia di Dahl, donando momenti molto gradevoli di canto e scene molto simpatiche.

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Il punto di forza è la sua totale natura favolistica, come se tuttala storia fosse perfettamente consapevole di essere a tratti surreale. Ma la narrazione riesce perfettamente a far credere allo spettatore che è possibile tutto ciò che accade, che di base non ha il pretesto di voler spiegare perché accade. E questa caratteristica di Dahl mi ha sempre affascinato, quindi per me se sei riuscito a trasmettere quella quasi spensieratezza da favola, come se il tono fosse leggero, con i buoni che fanno i buoni e i cattivi fanno i cattivi.

Per quanto in alcuni punti un po’ forzata, la trama racconta un viaggio dell’eroe davvero interessante, in grado di far affezionare lo spettatore a questo nuovo Wonka e tutta la sua squadra. I personaggi secondari funzionano quasi tutti, creando una serie di secondari che non prendono mai la scena al vero protagonista ma che sanno dare il giusto contributo alla narrazione.

wonka timothhee chalamet
wonka timothhee chalamet

In conclusione, un film che se visto con la giusta chiave di lettura è davvero piacevole, in grado di mettere in scena un viaggio dell’eroe molto carino, con trovate sceniche interessanti e personaggi secondari ben riusciti, il tutto in un ambientazione totalmente favolistica, surreale e a tratti fumettosa che funziona benissimo nella prospettiva leggera che vuole dare il film. Il Wonka di Chalamet è infatti distante dal grottesco ma invece un personaggio totalmente buono e quasi ingenuo.

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NAPOLEON, il film sul condottiero più famoso di sempre – [Recensione]

Napoleon

Recensione di “Napoleon”, il nuovo film di Ridley Scott sul condottiero francese, interpretato dal premio Oscar Joaquin Phoenix

Avevo molte aspettative su questo film, in primis per l’attore principale, Phoenix di cui sono innamorato, e poi anche per il personaggio principale, la cui fama e importanza non sono certo indifferenti. Sono andato in sala senza però aspettarmi nulla di perfettamente accurato sul piano storico, in modo da evitare di rovinarmi la visione.

E infatti Scott non propone una pellicola all’insegna della accuratezza storica, ma bensì una sua rivisitazione verosimile del Napoleone persona, non tanto condottiero o politico. E credo che questa sia la chiave di lettura con cui si deve vedere il film, che ha intenti forse diversi da quelli che ci si poteva aspettare.

Non mancano certo le scene di battaglia, dirette con una spettacolarità tipica di Ridley Scott, le cui scelte registiche ho apprezzato molto. Tuttavia il focus principale è spostato sul suo rapporto personale con Giuseppina e sul suo carattere nella vita privata. L’idea è di raccontare il narcisismo, la megalomania di una persona che ha cambiato le sorti di un continente.

Effettivamente raccontare tutta la storia di Napoleone Bonaparte sarebbe stato molto difficile se avesse voluto rimanere fedele ai fatti realmente accaduti, ma Scott decide di raccontare invece le fragilità, le manie ma anche i trionfi e i narcisismi del condottiero corso, interpretato egregiamente da un grottesco Phoenix, che ci ha lasciato una performance degna di lui, ma che credo non sia riuscita a superare quella di Murphy per concorrere a un eventuale premio Oscar.

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Rivelato il primo trailer di Napoleon

Forse il limite più grande di questo film è proprio il voler essere troppo storico, in quanto, nella fretta di raccontare tutti gli eventi, alcuni passaggi risultano poco chiari, ad esempio come si passi dalla repubblica a console, e da console a imperatore. Forse però la causa principale sono i tagli eccessivi, ma comunque il film funziona eccome.

Dal punto di vista tecnico è un film di una qualità altissima, sul piano della regia, fotografia, costumi e recitazione. Non memorabile la colonna sonora ma forse non ci ho fatto molto caso, più che altro perché mi aspettavo temi epici per le battaglie ma non mi sono sembrati tali.

napoleon
Napoleon

In conclusione, il film ci presenta la vita privata di Napoleone, mettendo al centro della narrazione la sua storia d’amore travagliata con Giuseppina, mostrando le sue fragilità e manie. La recitazione grottesca di Phoenix prende la scena anche sulle spettacolari scene di battaglia, dirette ottimamente da Scott, il cui intento primario non è di raccontare in modo storicamente accurato gli eventi scritti sui libri, ma mostrare una ricerca di vana gloria di un personaggio megalomane e narcisista.

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DREAM SCENARIO-Hai mai sognato quest’uomo? – [Recensione]

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Recensione di “Dream Scenario-Hai mai sognato quest’uomo?”, il nuovo film con protagonista Nicolas Cage diretto da Borgli

Approcciandosi alla visione in sala non sapevo cosa aspettarmi. Avevo visto il trailer molto accattivante, ma non conoscendo il regista sono andato molto sulla fiducia. L’idea mi sembrava interessante, per quanto penso piuttosto banale, insomma nulla di sconvolgente. Ciò che invece lo è, è come il pretesto di trama viene sviluppato, che ho trovato geniale.

Partiamo dalla cosa migliore fra tutte: Nicolas Cage. Lui è perfetto in quel ruolo, sia fisicamente sia recitativamente parlando. È riuscito a immedesimarsi perfettamente nella parte in quanto sia ha avuto recentemente esperienza della viralità a causa del meme con Pedro Pascal, sia il padre era professore universitario, dunque è riuscito a interpretare comodamente il ruolo.

Il personaggio inoltre è scritto benissimo. È incredibile come Paul appaia agli occhi dello spettatore in tutto e per tutto una persona poco interessante, di cui nessuno è realmente amico, sfigata e di poco successo. Nel modo in cui è vestito, dal fatto che gli amici non lo invitino a cena, da cosa fa la prima volta in cui entra a casa di Molly. Insomma, il protagonista è perfetto per quello che gli deve accadere, e la progressione della trama, per quanto molto fantascientifica e inspiegabile, è efficace nell’obiettivo di una critica sociale al mondo dell’internet e di come riesca a creare dei mostri o distruggere la vita di persone senza nemmeno averlo scelto.

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LOKI st. 2, la serie Marvel sul Dio dell’inganno

Come è scritta la sceneggiatura per me è realmente geniale, il finale poetico e gli snodi narrativi, seppur prevedibili, gestiti in modo magistrale. La regia ha guizzi interessanti, riuscendo a dare ogni tanto delle tinte horror non troppo prolungate, ma quel poco che basta per inquietare. La fotografia molto godibile.

Forse l’unica pecca per me è l’aggiunta di Noria, idea geniale per criticare la società delle tik tok house, ma inevitabilmente aggiunge un elemento soprannaturale che mette a dura prova la sospensione dell’incredulità, che fino a quel momento ancora poteva reggere. La sua presenza però dà la possibilità di mettere in scena un finale poetico che lascia molto rifletter, così come l’intero film, che da un lato sentiamo molto distante, ma che in realtà riguarda tutti noi.

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Dream Scenario hai mai sognato quest’uomo

In conclusione, un film geniale, con un Nicolas Cage perfetto nel ruolo di sfigato, poco interessante e di poco successo. La trama intrigante mette in scena una critica sociale molto spinta verso la nostra società, facendo riflettere come la vita di una persona qualsiasi possa rimanere stravolta senza averlo scelto. Un’idea brillante sviluppata in una trama scritta egregiamente e diretta ottimamente grazie ai guizzi dalle tinte horror.

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THE MARVELS, il nuovo film dell’MCU – [Recensione]

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Recensione di “The Marvels”, il nuovo film dell’MCU con protagoniste Captain Marvel, Miss Marvel e Monica Rainbow

Alla visione in sala della pellicola, mi sono principalmente chiesto il motivo per cui i Marvel Studios avessero deciso di far uscire in questo periodo di crisi un film con protagonista un supereroe minore dei vecchi Avengers e due personaggi provenienti dalle serie tv, di cui una apparsa in secondo piano e l’altra nella serie meno vista di Disney+. Ero arrivato dunque senza grandi aspettative, attendendomi un film divertente ma niente di che. Inoltre, le recensioni della critica l’avevano già stroncato prima ancora che ne potessi dare un giudizio.

The Marvels non è un brutto film, ne ho visti di molto peggiori, e non è nemmeno il peggiore dell’MCU, ma trovo difficile individuare pregi per cui giudicarlo un film di cui vale la pena veramente di andare a vedere. Una cosa buona è la durata: il film MCU più corto. Certamente non manca l’intrattenimento, il trio funziona ma a tratti manca uno scopo principale del film.

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È necessario però chiarire che di tratta pur sempre di un film Marvel, con un target prevalentemente giovane. È inevitabile dunque prendere in considerazione questo, ma sono sempre più convinto che sia un film vuoto. Partiamo dalla trama. È tutto molto un pretesto per far interagire i personaggi. Non è ben chiaro come mai le tre protagoniste riescano a teletrasportarsi, gli sceneggiatori non hanno dato una spiegazione convincente, forse per un bambino va bene così.  L’impressione di una missione secondaria che si risolve effettivamente in pochissimi passaggi è confermata dalle scene post credit, forse le scene migliori del film.

L’interazione tra i personaggi funziona, ma sinceramente di Carol non ricordavo nessun tipo di caratterizzazione e la componente emotiva iniziale non mi ha assolutamente coinvolto, come se in sala mi fossi sentito inadeguato o non avessi visto le puntate precedenti di una serie. Alcune dinamiche però rischiano di risolversi in poco tempo, tanto da risultare poco credibili.

Alcune scene d’azione sono molto ben fatte, però il combattimento finale si conclude in un modo abbastanza insoddisfacente a mio parere. Anche la questione del “passato” di Carol nello spazio mi è sembrata davvero superficiale, senza intenzione di approfondire, rischiando di risultare inutile. Forse un minutaggio maggiore avrebbe giovato, o forse no, il problema è che manca una vera e propria tematica, un motivo buono per vedere il film, che oltre a creare situazioni intrattenenti si limita ad essere privo di messaggi, e purtroppo sembra sia una linea che l’MCU sta prendendo con molti prodotti, quando invece ci sono film come GOTG3.

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In conclusione, il film è intrattenente ma manca di un messaggio vero e proprio, un buon motivo per andare a vederlo in sala, come se si limitasse a scene d’azione e interazioni tra personaggi. La trama è molto superficiale e rischia di non approfondire personaggi come ad esempio il villain. Forse la pellicola meritava più minutaggio per sviluppare altre tematiche, perché penso che la Marvel riesca anche a sfornare prodotti, seppur semplici, di qualità, ma in questo film anche i personaggi, su cui gira tutta la trama, risultano poco interessanti.

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LOKI st. 2, la serie Marvel sul Dio dell’inganno – [Recensione]

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Recensione della st.2 di “Loki”, la serie Marvel su Disney+ sul Dio dell’inganno interpretato da Tom Hiddleston

Dopo la deludente prima stagione ero arrivato tiepido all’esordio di questa seconda stagione, con ancora l’amaro in bocca di molti prodotti Marvel dell’ultimo periodo. Dunque le mie aspettative erano piuttosto basse, e purtroppo per me non riescono le scarse 6 puntate a mutare la mia opinione al riguardo.

La serie è un seguito diretto della prima stagione, per cui si porta dietro tutte le problematiche della gestione precedente, soprattutto dal punto di vista della scrittura. Le prime puntate presentano una trama confusa, a tratti sbrigativa, mentre soprattutto la quinta puntata gira intorno a dei concetti superflui, talvolta cominciando una trama e finendola nella stessa, dando allo spettatore la sensazione di un episodio inutile.

I punti di forza sono certamente alcuni personaggi riusciti, nonostante le caratterizzazioni come quella di Mobius vengono trattate solo puntate dopo aver parlato del suo passato. Tutto sommato però, nell’ultima puntata si percepisce un minimo di emotività nei confronti dei personaggi, al termine di un arco narrativo durato due stagioni.

Il problema rimane però tutta l’impalcatura, percepita precaria e poco chiara in una visione settimanale, forse non così immediata se avessi fatto una scorpacciata unica, ma che purtroppo spesso presenta buchi, imprecisioni non ignorabili. La trama viene sviluppata per assunti, spesso non spiegati e in caso solo puntate dopo la loro presenza.

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Loki 2 – Rivelato il nuovo trailer

Questa sensazione di viaggio confusionario penalizza molto un finale azzeccato e giusto, poiché mal costruito. La poetica e toccante conclusione del personaggio di Loki non riesce a salvare una storia piena di problematiche e trame aperte che danno quasi una sensazione di poco chiara comprensione del finale.

Loki Rivelato primo trailer della nuova stagione

In conclusione, il finale azzeccato della serie non riesce a salvare una storia che si porta dietro numerose problematiche provenienti dalla insufficiente prima stagione, costringendo alla trama di raccontare in modo confusionario sottotrame inconcluse e personaggi inutili. Sono contento per la gestione di alcuni personaggi, ma questa storia meritava un altro tipo di trasposizione.

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KILLERS OF THE FLOWER MOON, il nuovo film di Scorsese – [Recensione]

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Recensione di “Killers of the Flower Moon”, il nuovo film di Scorsese con Di Caprio e De Niro, tratto dal romanzo “Gli assassini della terra rossa”

L’hype per questo film era da parte mia clamoroso. Martin Scorsese è un regista che amo, forse il migliore ancora in attività, contando una filmografia davvero unica, che è riuscita sempre a diversificare le tematiche nella maggior parte dei casi eccellentemente. Inoltre la presenza di attori come DI Caprio e De Niro aveva incrementato le già alte aspettative.

Alla luce della mia visione in lingua originale, posso dichiararmi estremamente soddisfatto del film il quale si prende il meritato posto tra le gemme di Scorsese, perché questo film è una mina incredibile! Comincio col suo unico difetto rilevante: la sua durata estremamente impegnativa. Mi limito a dire questo perché sono convinto solo che ormai non sia più allenato per i film molto lunghi, dunque sul finale sono arrivato leggermente stanco. Ma ciò non ha assolutamente danneggiato la visione e non penso che abbia sciupato il film.

Certo, si poteva tagliare qualcosa, non sarebbe stato un problema enorme, soprattutto alcune sequenze molto marginali, come quelle del paese, ma in generale averle tenute è stato un più, un’aggiunta con benefici alla storia e alla pellicola in quanto tale, in quanto esperienza. Personalmente non ho sentito il calo di attenzione. Certamente il ritmo in alcuni momenti rallenta ma non è un difetto.

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Recensione Oppenheimer

I punti di forza sono sicuramente molti, tali da far rimanere incollati gli spettatori nonostante l’ampia durata. La regia di Scorsese è da Oscar, fornita di piani sequenza spettacolari e dialoghi molto intensi, la fotografia, la scenografia, la scrittura e soprattutto la recitazione. La performance attoriale dei personaggi principali è incredibile e riesce a tenere alta l’attenzione nonostante alcune scene siano molto lente. Il carisma di alcuni personaggi è da brividi e per me Di Caprio in un’altra annata avrebbe vinto l’oscar come miglior attore, per una interpretazione magistrale, che riesce ad essere diversa da tutti gli altri personaggi che ha fatto.

Inoltre la storia è molto interessante, con un messaggio chiaro e una critica esplicita. Una trasposizione di un romanzo che non ho letto che al cinema risulta efficace, rivisitato da Scorsese in modo egregio. Benché non siano presenti scene di effettiva azione, risulta un film di mafia, quasi un gangster movie che Scorsese sa ben trattare. Il tutto farcito con alcune scene davvero allucinanti, come quella degli indiani che ballano nel petrolio, o quella della punizione a Di Caprio, o il dialogo in prigione.

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In conclusione, il film ha l’unico difetto di essere lungo, ma per il resto ha una regia da paura, una fotografia, una scenografia e una scrittura incredibili, il tutto coronato da una recitazione magistrale, in grado di tenere l’attenzione alta con un carisma e una intensa interpretazione che meriterebbe per alcuni attori l’oscar. Scorsese racconta una storia drammatica in modo cinematograficamente spettacolare, con scene allucinanti che mandano messaggi in modo deciso.

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Dopo le fallimentari serie Disney+ di Star Wars, all’annuncio di “Ahsoka” ero molto titubante ed è stato un recupero invece che un appuntamento fisso. La visione è stata dunque altalenante e forse questa modalità ha variato il mio giudizio sulla serie, ma ho provato ad essere il più sincero possibile.

Non ho mi visto le serie animate dell’Universo espanso, quindi la mia esperienza è stata limitata e parziale, ma ovviamente una serie deve tenere conto di ciò e dover funzionare lo stesso. Infatti, non ho sentito particolarmente le lacune narrative e penso di aver compreso abbondantemente la serie.

La serie parte con le marce tirate indietro, infatti le prime due puntate le ho trovato molto introduttive, poi inizia a prendere una strada più dinamica e “action” trovando una sua impronta piuttosto azzeccata e riesce a coniugare meglio i due aspetti narrativi, terminando in un finale molto soddisfacente nonostante le domande che lascia, dando la possibilità allo spettatore di teorizzare e lasciandogli la voglia di continuare questa storia e saperne di più.

Ho trovato, dunque, la serie senza difetti mastodontici e aggravanti sul giudizio finale, la visione è abbastanza lineare e riesce ad essere epica così come intrattenente così come riflessiva e toccante. I migliori pregi sono i personaggi principali, a cui viene affidato molto minutaggio in percentuale, perciò si riesce a seguire bene quella che è sostanzialmente una unica linea narrativa, talvolta alternata a linee minori, di cui presto ci si dimentica.

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Il principale difetto è certamente il modo in cui si arriva a certi eventi della serie. Non avendo recuperato per intero l’Universo espanso, alcuni personaggi mi erano del tutto sconosciuti e, benché si riesca a comprendere a pieno tutto ciò che accade ed il perché, talvolta viene a mancare la componente emotiva che rende un combattimento tanto atteso, un ritrovamento toccante e un addio malinconico. Il personaggio di Ezra in questa serie è totalmente marginale nella narrazione (nel senso che appare davvero poco), ma sul lato emotivo dei personaggi sembra essere fondamentale per le vicende.

C’è stata dunque una gestione della narrazione forse sbagliata, nel senso che si sarebbe dovuto raccontare altro se l’unico modo per continuare il finale di Rebels era quello di fare una serie in cui non potevano rispiegare tutto e rinarrare il background di personaggi come Bayalon Skoll, di cui si sa davvero poco.

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In conclusione, la serie non presenta grandi difetti e riesce ad intrattenere, emozionare e far riflettere, ma inevitabilmente per chi non ha recuperato interamente l’Universo espanso, alcune dinamiche tra i personaggi risultano poco coinvolgenti, poiché non se ne conoscono i background che non vengono narrati in questa serie. Un buon punto di partenza per le nuove serie a livello di qualità, molto elevata per quanto riguarda la regia, gli effetti speciali e il tipo di narrazione.

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ASTEROID CITY, il film surreale di Wes Anderson – [Recensione]

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Recensione di “Asteroid city”, il nuovo film surreale di Wes Anderson, un’esperienza unica nel panorama del cinema Hollywoodiano odierno

Wes Anderson si presenta al cinema con questa nuova pellicola a cui sembra voler molto bene, e a cui tutti coloro che ci hanno lavorato sembra abbiano dato un impegno personale particolare. Personalmente l’ho trovato uno dei suoi migliori lavori, soprattutto per il tipo di esperienza che fornisce.

Ma che intendo per esperienza? I film di Wes Anderson sono molto particolari, e sicuramente per il pubblico mainstream sono più complessi da digerire, non tanto da capire, ma quanto da interessarsene. Parlandone in live ho paragonato impropriamente questo film a una mostra di arte moderna. A differenza di andare agli Uffizi, i quadri che si incontrano sono molto difficili da apprezzare e non sempre si comprende il perché ci piacciono.

Asteroid city è infatti questo, per me un film tecnicamente impeccabile, con un Anderson al limite della sua espressione artistica di scelta di colori, di simmetrie, di scenografie. L’uso dell’immagine e del cinema anche come arte visiva stupisce e sbalordisce lo spettatore che, non sa perché rimane affascinato da un cinema raffinato, di lusso, virtuosistico, ricercato e di gusto. La stessa scelta dei luoghi della città e del loro design, così come i costumi dei personaggi non è mai casuale, e risulta sempre una scelta azzeccata.

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Nuovo trailer di Asteorid city rivelato.

Anche il lato narrativo regala delle intuizioni geniali, sia per quanto riguarda la sovrastruttura creata per la storia principale, con cui Anderson probabilmente vuole criticare o semplicemente mostrare tutto il dietro le quinte di un mondo in cui lui lavora da più di vent’anni. La mia interpretazione è che stia vivendo un periodo di riflessione che ha esito nella cornice in bianco e nero che accompagna la narrazione e spesso la spezza.

La trama principale è infatti piuttosto esigua, a tratti un pretesto per creare dei piccoli quadretti, ma che comunque convergono in una semplice ed efficace linea narrativa in cui si può trovare un senso e un messaggio più o meno chiaro ed esplicito.

Il film conta molti attori famosi con cui spesso Anderson ha lavorato, di cui si dice alcuni hanno accettato di far parte del progetto anche per il minimo salario di circa 4000$. Il cast è infatti davvero stellare e alcuni attori compaiono veramente per qualche secondo. Ma il risultato è un ventaglio di situazioni e interpretazioni che, coniugato a una scrittura di situazioni assurde e surreali, lascia allo spettatore una sensazioni di viaggio mentale nella fantasia più improbabile e impensabile.

Asteroid City Primo trailer rivelato del nuovo film di Wes Anderson
Asteroid City Primo trailer rivelato del nuovo film di Wes Anderson

In conclusione, il film è dal punto di vista tecnico e soprattutto visivo un’esperienza di cinema raffinato, di gusto, ricercato e virtuosistico che coniuga una sovrastruttura narrativa che fa da cornice comica ma al contempo critica verso il mondo del dietro le quinte del cinema, e una trama principale che diventa quasi un pretesto per raccontare piccole storie interessanti ed efficaci.

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IO CAPITANO, la favola nera di Garrone, Leone d’argento a Venezia – [Recensione]

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Recensione di “Io Capitano”, la favola nera di Matteo Garrone, vincitore del Leone d’argento a Venezia e proposta italiana per gli Oscar

È ufficiale che la proposta dell’Italia all’Academy per gli oscar è “Io Capitano”, il nuovo film di Matteo Garrone, Leone d’Argento a Venezia. Sono contento di questo annuncio dato che il mio giudizio sul film è assolutamente positivo. Anche se dubito che l’Academy apprezzerà questo tipo di film.

La pellicola infatti è quasi un documentario, interamente sottotitolato, che racconta l’epopea di un ragazzo senegalese che lascia il paese d’origine per migrare in Europa. La storia, per quanto “romanzata”, è completamente verosimile, e mostra tutta la tragicità di quelli che sono i viaggi di migliaia di persone che ogni giorni partono verso una speranza di futuro migliore.

L’intento di Garrone è solamente quello di mettere in scena i fatti, senza giudicare o fare il moralista. E questa scelta la trovo altamente azzeccata, in quanto il modo in cui racconta questa favola nera riesce a colpire a pieno lo spettatore, coinvolgendolo anche emotivamente in quelle che sono le atrocità del mondo moderno, andando a creare attrito con tutto quello che viviamo tutti i giorni in questo paese, tra i più coinvolti in Europa nella tematica migranti.

La narrazione di Garrone, infatti, è da un lato cruda, senza fronzoli, da un altro dolce, intima, delicata, umana. Ed è proprio quest’ultimo lato a rendere questa tragedia una storia che inevitabilmente fa empatizzare lo spettatore con i personaggi. Perché troppo spesso ci sembrano quasi tutti uguali, senza soglia del dolore, senza sentimenti o sofferenze. Invece il film pone lo spettatore dall’altro lato del Mediterraneo, dal lato di chi deve arrivare in Europa.

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Recensione Oppenheimer

E in fondo chiunque compartecipa nel suo profondo alle sofferenze di Seydou, vedendo l’umanità del personaggio, che non per fuggire dalla guerra, ma semplicemente per cercare una vita migliore, a sedici anni mette a rischio continuamente la sua vita. E anche quando si trova davanti degli ostacoli non perde mai la sua intraprendenza nel mantenere la promessa fatta al cugino. Seydou, infatti, è talmente attaccato alla vita che più volte durante il suo viaggio si preoccupa dei più deboli e di chi sta per morire.

Lo stesso passo prima del viaggio finale decide di compierlo solo con il cugino, anche se ha la possibilità di esser certo di arrivare “comodamente” insieme all’uomo che incontra in prigione e con cui giunge a Tripoli. Questa è proprio l’evento che più caratterizza l’arco evolutivo che il protagonista compie, maturando così tanto che parte da sedicenne sprovveduto, ingenuo e sognatore, arrivando poi alla fine come Capitano.

Il lato tecnico è molto suggestivo, avrei tagliato qualche minuto all’inizio, ma in generale non riesco a trovare difetti a questo film davvero toccante, che dovrebbero far vedere a scuola a chiunque voglia vivere in questa società, che purtroppo deve avere a che fare con questo fenomeno ormai inevitabile. Spero davvero che riesca a ricevere i giusti riconoscimenti e il giusto successo.

Cover Garrone

In conclusione, il film è un racconto delicato ma anche crudo dell’epopea tragica di un sedicenne senegalese che durante il viaggio compie una maturazione splendida. Garrone in modo intelligente decide di non dare giudizi o fare la morale, ma semplicemente mostrando allo spettatore le atrocità del mondo moderno, facendo inevitabilmente empatizzare lo spettatore con le sofferenze umane dei personaggi.

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ASSASSINIO A VENEZIA, un altro caso per Poirot – [Recensione]

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Recensione di “Assassinio a Venezia”, il film tratto del romanzo di Agatha Christie con regista e protagonista Kenneth Branagh

Il terzo capitolo della saga con protagonista l’Hercule Poirot di Kenneth Branagh, di cui è anche il regista, convince e soddisfa lo spettatore appassionato dei gialli di Agatha Christie. Nonostante sia il meno fedele dei tre film, i toni cupi e horror si sposano perfettamente con l’ambientazione che dà il nome all’assassinio del titolo: Venezia.

La storia è ambientata in un’unica location, un palazzo del capoluogo veneto che si dice essere maledetto, in cui Poirot viene invitato per assistere a una seduta spiritica dalla dubbia validità e provare a screditarla. L’uso che è stato fatto del palazzo e dei suoi ambienti mi è piaciuto particolarmente, in quanto è stata sfruttata a pieno la particolarità di Venezia e dei suoi canali. Insomma, la storia, a differenza di Assassinio sul Nilo, si porta dietro un fascino tipico di Venezia e dei suoi palazzi rinascimentali.

Nonostante le inaccuratezze storiche su cui possiamo sorvolare, sono state utilizzate bene le atmosfere horror e si riesce a percepire quello stile dei gialli di Agatha Christie. Il caso è tanto intrigante quanto la sua risoluzione, che non lascia alcun tipo di dubbi o inverosimilità.

La caratteristica però che differenzia un buon film giallo da uno mediocre è la caratterizzazione dei personaggi secondari, che costituiscono i principali sospettati del caso. Come anche nei capitoli precedenti, tutti i comprimari hanno ricevuto la giusta attenzione, creando un cast molto fornito e un ventaglio di personaggi ampio e interessante.

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Poirot ha ovviamente la scena per tutta la seconda parte del film, confermandosi un personaggio che amo visceralmente, sia come è stato interpretato sia come è stato scritto, di cui non smetterò mai di aver voglia di guardare i film, se questa qualità verrà mantenuta anche per i prossimi capitoli.

Personalmente ho apprezzato tantissimo l’atmosfera horror, mai fuori luogo o stonante nel contesto, benché preferisca il Poirot più classico, che insomma non ha a che fare col presunto paranormale. Ma trovo che l’espediente di Halloween abbia senza dubbio dato una marcia in più a quelle che in fondo erano poche scelte narrative palesemente horror.

assassinio venezia
assassinio venezia v

In conclusione, il film è un ottimo terzo capitolo nonostante si possa vedere tranquillamente a sé stante. Le tinte horror e i toni cupi fanno da protagoniste a una storia gialla intrigante, dall’indagine avvincente, le atmosfere rinascimentali e una risoluzione originale e ben pianificata. I personaggi secondari sono ben caratterizzati ma ovviamente non rubano la scena a un sempre all’altezza Branagh nei panni di Poirot.

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OPPENHEIMER, il biopic sul Prometeo del ‘900 – [Recensione]

Oppenheimer recensione copertina

Recensione del nuovo biopic di Nolan, Oppenheimer, il fisico che ha lavorato alla bomba atomica e ha diretto il progetto Manhattan.

Wow, wow, wow! Questa è stata la mia principale reazione durante la visione del film! Il nuovo blockbuster di Cristopher Nolan risolleva il regista dopo un periodo di pellicole non molto riuscite, aggiungendo alla sua filmografia uno dei migliori film degli ultimi 5 anni. Ma andiamo per gradi.

Oppenheimer è un’opera tratta dal romanzo di Bird e Sherwin “Oppenheimer, Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica”, a cui Nolan si è fondamentalmente ispirato per raccontare la storia di uno dei personaggi più controversi di tutto il ‘900: Robert J. Oppenheimer. Fisico di successo, ma con impulsi a tratti omicidi in gioventù, Robert affronta un viaggio alla scoperta della pietra che, sollevata, scopre il serpente che distruggerà nel 1945 Hiroshima e Nagasaki, insieme a 210.000 morti e 150.000 feriti.

Il film è essenzialmente tre ore di dialoghi che però abbracciano un ventaglio ampio di personaggi interpretati tutti da un cast stellare, azzeccato anche nei ruoli di sfondo. Il ritmo dei dialoghi segue quello del flusso dei pensieri del dottor Oppenheimer, che all’inizio, preso dai suoi nuovi studi nella fisica quantistica, è tormentato da repentine visioni di un mondo oltre la realtà, mentre via via che si accorge di quello che sta facendo e di come sta cambiando il mondo, diventa sempre più riflessivo e pensieroso.

La trama ci presenta un alternarsi di linee temporali diverse, all’inizio quasi disorientanti ma che dopo poco rivelano l’intento di un intreccio che andrà a convergere in un finale realmente accaduto, districato magistralmente dagli sceneggiatori. La storia narrata si concentra principalmente sulla psicologia del protagonista, interpretato egregiamente da Cillian Murphy, ormai attore affermato che ha sempre lavorato bene con Nolan, di cui il pubblico ha oramai imparato ad apprezzare le doti recitative, soprattutto la mimica degli occhi, in questa pellicola usata molto sapientemente nella parte finale.

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Il film ha sicuramente tanti altri personaggi a cui fa affidamento la trama ma essenzialmente, lo dice il titolo, si esplora il cammino di un uomo che nella sua professione, ha dovuto scontrarsi con un mondo che da un lato non gli competeva, da un lato non era pronto ad affrontare, diventando addirittura quasi un politico. L’impianto visivo e acustico messo in scena permette un’esperienza totale delle fasi cruciali di uno degli eventi più importanti della storia della scienza del ‘900, di cui Oppenheimer è stato l’ammaestratore. Il sonoro merita un oscar per come hanno saputo sfruttare i silenzi e i rumori assordanti, accompagnato da una regia e un montaggio mostruosi e una colonna sonora in stato di grazia di Goransonn.

Elogio va anche a Robert Downey J., il quale finalmente rivela le sue capacità attoriali sfruttabili non solo per i supereroi ma anche per film di spessore, grazie a una performance brillante per un personaggio capace di farsi odiare dal pubblico tale da offuscare per un attimo le motivazioni per cui lui accusa Oppenheimer. Nolan infatti, pare evidente, non rimane neutrale sulla sua figura, nonostante riesca in modo magistrale a rappresentare un uomo per come storicamente era, esprime implicitamente un giudizio su uno degli artefici principali del progetto Manhattan, il quale ha portato a una delle catastrofi più controverse della storia per cui l’America non ha ancora scontato la pena.

La mia lettura del film, il cui scopo principale è raccontare la storia di un uomo, non dare un messaggio preciso, prevede una opinione personale a priori. Nolan ci mostra come un fisico non sia un politico, come vediamo nella scena agghiacciante con Truman, come l’uomo è fragile e spesso ingenuo. Oppenheimer non era certo una persona qualunque, la sua vita fuori dalla professione era tanto travagliata quanto trascurata, piena di ferite e problemi. Un genio che di fronte al progresso e alla paura ha preso delle scelte che forse non gli competevano. Noi non sappiamo cosa significhi aver vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale, se la paura di quello che avrebbero potuto fare i nazisti o i giapponesi potesse essere una giustificazione.

Certo è che Nolan evidenzia più volte le motivazioni a favore e contro e, riflettendo con un amico mi sono accorto, si schiera, dando alla luce un’opera che a fine visione ti lascia un enorme macigno sulla coscienza, sulla schiena e nella pancia, tanto che continui a pensarci, continui a pensare alla scena finale con uno dei dialoghi più belli del film, quello tra Oppenheimer e Einstein, che lascia spazio a domande da elaborare e digerire per sempre, fino a che l’umanità non troverà una soluzione a questa questione ancora scottante in tempi di guerra come i nostri.

Oppenheimer recensione

In conclusione, il film merita una visione anche solo per l’impianto tecnico e la maestria di chi ci ha lavorato. Una storia narrata magistralmente che racchiude la vita di un uomo ancora oggi controverso la cui opinione del pubblico mondiale è tuttora spaccata in due, affrontata egregiamente da un regista, Nolan, che non si limita a presentare la questione in quanto tale, ma ne racconta gli aspetti più salienti per una lettura più profonda di una storia vera che ha ancora tanto da insegnare all’umanità.

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THE FLASH, IL NUOVO FILM DEL DCEU – [Recensione]

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Recensione di “The Flash”, il nuovo film del DCEU diretto da Andy Muschietti con protagonista Ezra Miller nei panni del velocista scarlatto

Le aspettative per questo film sono cambiate nel corso del tempo, complici tutte le complicazioni e le controversie che ha subito la produzione di questa pellicola. All’inizio avevo grande hype poiché era stato annunciato dovesse fare un reboot, poi dopo i cambiamenti in casa DC ho iniziato a sentire la puzza di scritture su riscritture, di aggiustamenti e mutamenti di personaggi e dinamiche narrative. Tuttavia alle premiere e alle anteprime avevano parlato bene di quello che Gunn aveva definito “miglior cinecomic di sempre”.

Dopo la visione del film posso ritenermi piuttosto deluso. Sia chiaro, per me non è un brutto film, mi ha divertito, non mi ha mai annoiato e non ho nemmeno notato la così tanto incriminata CGI assassina. Però, mi ha lasciato davvero l’amaro in bocca. Ha davvero dei difetti che si poteva risparmiare e alla fine non riesci davvero a dire “è proprio un bel film”. Ma andiamo con calma con la recensione di The Flash.

Il film parte con una situazione piuttosto ambigua, insomma la scena dei neonati l’ho trovata non fastidiosa né aberrante, semplicemente non necessaria, o almeno non avrei mai scelto questa circostanza per spiegare meglio i poteri e vedere in azione Flash. Non la trovo per nulla cinematograficamente spettacolare né un’intuizione geniale. Scelta narrativa poco efficace a mio avviso.

Il background del personaggio di Barry è costruito bene e da una parte mi fa anche ridere che a distanza di due settimane siano usciti due film che parlano di Multiversi e eventi canon. Il modo in cui Barry ha l’idea per tornare indietro è estremamente casuale e poco preparata, così quanto è inutile Iris West durante tutto il film.

La coppia dei due Barry mi è piaciuta, devo dire che funzionano bene insieme, anche se la scena se la prende tutta il Batman di Keaton, assolutamente sul pezzo, carismatico e mai fuori luogo. Supergirl per quanto buttata lì senza una costruzione necessaria, risulta pertinente con la trama. Ben Affleck ne esce senza dubbio apprezzabile nel suo Batman davvero sensato per la prima volta in questo DCEU.

I problemi sorgono tanti nella totalità del film. L’idea di un cinecomic il cui protagonista è un supereroe introdotto in un altro film e qui per la prima volta se ne raccontano le origini e l’universo che lo circonda. Il modo in cui conosciamo l’evento che gli ha dato i poteri, i personaggi che fanno parte dell’universo che caratterizza il personaggio di Flash, è talmente di contorno che la storia svia e si parla del Batman prima di Affleck, poi di Keaton, poi di Batman vs Superman, insomma della Terra di Barry non si parla mai. E nel suo primo film Barry già viaggia nel tempo (nonostante non abbia capito ancora se quello che succede nella Snyder Cut è canon o no, in teoria no).

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La frettolosità che ha caratterizzato questo universo cinematografico nel rincorrere la concorrenza si riflette ancora una volta in questa pellicola, in cui anche il multiverso viene spiegato ma lasciando tanti dubbi, soprattutto con la scena post credit. La spiegazione con gli spaghetti non riesce a rispondere a molte domande. Non si chiarisce mai veramente se esistono già dei mondi paralleli tra cui si può viaggiare oppure ogni volte che si viaggia nel tempo si creano delle linee temporali diverse.

 La questione del “creando un nuovo futuro creai anche un nuovo passato” fa presuppore che esitano universi alternativi, in quanto Keaton parla di multiverso e nella scena dei camei si fa intendere che esistono già delle versioni alternative dei supereroi che conosciamo, ma poi ci si chiede come si faccia a viaggiare tra questi mondi andando indietro nel tempo, in cui si può non alterare gli eventi se non si hanno interazioni. Insomma durante e dopo la visione non sempre mi è stato chiaro il meccanismo su cui si basa praticamente tutto il film.

Il villain del film non è molto chiaro, però tutto sommato si riesce abbastanza a seguire quella che è una trama abbastanza scorrevole, anche senza un vero e proprio scontro finale. Il personaggio di Barry trovo compia un arco evolutivo interessante, e anche il messaggio del film è molto chiaro, seppur utilizzato in un contesto supereroistico in cui assume una concezione un po’ più particolare, ma tutto sommato arriva allo spettatore.

The Flash Il trailer finale mostra Alfred e i due Batman

In conclusione, il film presenta le tracce di un DCEU lacerato dai problemi di produzione, dai cambiamenti interni e dalle scritture e riscritture degli sceneggiatori non sempre al top. Al netto di un multiverso spiegato malissimo e alcune scelte narrative o pigre o insensate, il film riesce a divertire con una funzionante coppia di Ezra Miller accompagnata dal carismatico Batman di Keaton, in una storia seppur frettolosa nel worldbuilding, scorrevole e che riesce a infondere un messaggio semplice ma chiaro.

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