Benvenuti nella nostra categoria di articoli a tema recensioni film, serie TV e videogame su www.popspace.it. Siamo qui per offrirti le recensioni più aggiornate e dettagliate sui titoli che ami. Sia che tu sia interessato a film, serie TV o videogame, troverai informazioni approfondite e opinioni imparziali per aiutarti nelle tue scelte.
Le nostre recensioni film coprono una vasta gamma di generi, dalle commedie agli action movie, dai film d’animazione ai thriller. Siamo appassionati di cinema e desideriamo condividere con te le nostre opinioni sui film più attesi e le ultime uscite.
Per quanto riguarda le recensioni serie TV, ti terremo aggiornato sulle nuove stagioni delle tue serie preferite, offrendoti un’analisi delle trame, dei personaggi e della qualità della produzione. Ti forniremo anche suggerimenti su nuove serie da scoprire e binge-watch.
Per gli amanti dei videogame, troverai recensioni dettagliate sui giochi più recenti per console, PC e dispositivi mobili. Saremo onesti e obiettivi nel valutare le meccaniche di gioco, la grafica, la trama e l’esperienza generale offerta da ciascun titolo.
Ecco alcuni esempi di recensioni film, serie TV e videogame di fama mondiale che potresti trovare su www.popspace.it:
Recensione del film “Avengers: Endgame”: Un’epica conclusione della saga degli Avengers, che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo. Valuteremo l’azione, la trama e le performance degli attori per aiutarti a capire se questo film è all’altezza delle aspettative.
Recensione della serie TV “Game of Thrones”: Una delle serie TV più popolari di tutti i tempi, seguiremo la trama intricata, discuteremo i personaggi principali e valuteremo la qualità complessiva delle otto stagioni.
Recensione del videogioco “The Last of Us Part II”: Un gioco di avventura post-apocalittica molto atteso, esamineremo la grafica, la trama, il gameplay e daremo un’opinione sulla sua rilevanza nel panorama videoludico.
Recensione del film “La La Land”: Un omaggio ai musical classici, esploreremo la colonna sonora, le performance degli attori e la regia per darti un’idea di questo film vincitore di numerosi premi.
Recensione della serie TV “Stranger Things”: Una serie di successo ambientata negli anni ’80, analizzeremo il fascino retro, la trama avvincente e il cast di giovani talenti.
Questi sono solo alcuni esempi di recensioni film, serie TV e videogame che potrai trovare su www.popspace.it. Siamo qui per aiutarti a prendere decisioni informate e fornirti consigli sulle ultime novità dell’intrattenimento. Esplora la nostra categoria di articoli a tema recensioni e troverai sicuramente contenuti che ti appassioneranno.
Recensione della prima stagione di Halo, serie in uscita su NowTV dal 24 maggio 2022. Bastano 9 puntate per accontentare i fan?
Premetto che non ho mai toccato nessun gioco di Halo, anche se so che la storia è stata cambiata, perciò dovrei essere un po’ più nella situazione di chi lo ha giocato, ma la serie mi ha davvero colpito e adesso ho anche voglia di giocarlo. Ma quanto è figa la sigla? Parliamone nella recensione della prima stagione di Halo.
Il world building iniziale è stato davvero coinvolgente e avvolgente, i personaggi sono stati davvero ben caratterizzati, anche perché non si capisce molto bene fino alla fine se alcuni personaggi sono positivi o negativi. Ad esempio, Makee, Soren o la stessa Catherine. Inoltre, lo stesso UNSC all’inizio è una figura negativa per gli abitanti Madrigal, anche se poi capiamo meglio alcune dinamiche e quindi il personaggio principale non è più Kwan ma Master Chief.
La trama non è niente di mai visto, sconvolgente o trascendentale, ad esempio l’inizio ha ripreso molto le dinamiche di The Mandalorian, ma riesce comunque a seminare bene i suoi misteri e viene portata avanti in ogni puntata molto efficacemente. Tutta la questione di Halo e degli Spartan è stata gestita molto bene a mio parere senza che cadessero nei soliti cliché.
Gli attori hanno fatto un ottimo lavoro, a partire dal come John, secondo me Pablo Schreiber è riuscito ad incarnare bene la sua aggressività ma allo stesso tempo la sua umanità. Ma in generale il cast ha convinto sempre. Un po’ meno la CGI, che soprattutto nell’ultima puntata mostra i limiti dei budget delle serie tv. Ma comunque per essere una prima stagione ha regalato gioie per gli occhi. Sì, le scene d’azione dell’ultimo episodio hanno fatto un po’ storcere il naso a molti, ma io credo che fosse inevitabile, altrimenti la soluzione era non farlo. Anche perché poi alla fine uno se lo fa anche andare bene. Più che altro quello che disturba è lo strano modo di muoversi dei personaggi, ma vabbè sorvoliamo e concentriamoci sugli aspetti più importanti.
Saliente è la scelta di inserire tanti elementi originari del videogioco (immagino). Ad esempio quella specie di dischetto argento che permette tipo di ologrammarsi in una stanza, ma questa è la mia interpretazione della sua funzione, ma non viene spiegato. È infatti ben bilanciato quanto si rifà al videogioco ed è quindi coglibile dai giocatori, e quanto viene spiegato e diventa comprensibile anche ai più ignoranti in materia.
Questo giusto mix permette una visione senza che lo spettatore sia propenso a giocare, e allo stesso tempo da tutti gli strumenti per infondere curiosità a provare il gameplay. Sicuramente la parte estetica dei costumi e del design delle location sarà fedele al videogioco ma ad esempio una scelta registica molto apprezzata è stata quella di mostrare la visuale di un videogiocatore con l’avatar di uno Spartan.
Halo
In conclusione, questa prima stagione è riuscita in 9 puntate a mantenere un certo livello di qualità, di distribuzione di scene action e di spazio ai personaggi, anche se avrei preferito approfondire meglio Kwan, però capisco la scelta. I twist sul finale sono molto azzeccati e il mezzo cliffhanger mi lascia molta curiosità di proseguire la storia, nonostante per me potrebbe anche finire qui. Non che non mi sia affezionato ai personaggi, ma vedo proprio un primo arco narrativo concluso.
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Recensione prima stagione dello spin off di HIMYM (2022), How I Met Your Father, con protagonista Hilary Duff
All’annuncio dell’uscita dello spinoff di How I Met Your Mother tutti abbiamo pensato: “ce n’era bisogno?” Oltre alla paura di toccare un mostro sacro della sitcom la delusione per il finale da parte di molti fan non ha lasciato molte aspettative su questa serie ma quindi è bella o brutta? Ecco la nostra recensione.
La prima stagione ha solo 10 episodi, quindi, è chiaro che giudicare una prima stagione da 10 non è la stessa cosa che 24, le classiche puntate di una stagione di una sitcom. Ma sinceramente ho apprezzato niente scene dentale ho mai visto anzi penso che la maggior parte delle battute fosse già vista e rivista (la canzone dopo che uno si lascia c’è in tutte le sitcom!) e tra l’altro non ho mai davvero riso a nessuna battuta o situazione comica. Le poche volte che provano a fare qualcosa di originale ricadono nel cringe nel senso che ironizzano su abitudini contemporanee del mondo dei social e a mio parere ancora non fanno così ridere. Forse tra qualche anno quando saremo cambiati sì.
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Nonostante questo, la storia appassiona e riesce a catturare lo spettatore e costringerlo a guardare subito la puntata successiva. Ottimo punto di forza sono i personaggi. I sei protagonisti trovano un ottimo equilibrio all’interno della narrazione ma a mio parere ci hanno raccontato troppo su di loro: sul loro passato e le loro caratterizzazioni. Forse avrei preferito scoprirli di volta in volta. Sophie è perfetta, Jesse devono approfondirlo meglio, Charlie è un’ottima idea. Sid, Valentina e Ellen sembrano ben distribuiti. Certo è difficile trovare dei caratteri così nuovi: come HIMYM copiò “Friends”, qui alcuni personaggi sono proprio inquadrabili come i caratteri tipo, simili a quelli tipo già utilizzati precedentemente in altre opere del genere.
Dal punto di vista della trama ho trovato molti topos del genere, eventi che ritroviamo in molte altre serie, soprattutto negli intrecci amorosi, ma affrontati e raccontati con questi personaggi mi ha fatto un po’ rivivere quelle atmosfere di quando non sai come va a finire una storia d’amore che vorresti tanto andasse in un modo. Forse in queste prime 10 puntate sono andati troppo sulla macrotrama, invece che su episodi più filler, ma essendo il numero di puntate più esiguo, hanno puntato a far affezionare i personaggi più per le loro storie d’amore che per le vicende più quotidiane, cosa che si potevano permettere altre prime stagioni.
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Ma non è certo un difetto, sono molto curioso di vedere un seguito e spero continuino per molte stagioni perché diventi un cult, a tal punto da affezionarsi ai personaggi così tanto da trovare divertente qualsiasi situazione comica, come mi succede per serie già concluse in cui mi sento già parte del gruppo.
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Recensione della prima stagione della nuova serie Marvel Moon Knight con protagonista Oscar Isaac in uscita dal 30 marzo 2022.
Bastano 6 puntate per raccontare così tanta carne al fuoco? Basta la buona recitazione di Isaac a rendere questa serie gradevole? Vi dico alcune, impressioni facendo spoiler, della nuova miniserie Marvel.
La stagione esordisce con delle premesse interessanti, i misteri ci vengono presentati in modo organico. Facciamo conoscenza con il protagonista interpretato da Oscar Isaac, il quale riesce a dare il giusto tono al personaggio. Conosciamo le sue dinamiche di vita, in quanto capiamo che non è una persona normale ma soffre di un problema non ancora ben identificato. Steven presto incontrerà Harrow, interpretato da Ethan Hawk, che sinceramente convince più quando è psicologo che quando interpreta il villain. Scopre così di avere una doppia personalità che può ricevere i poteri dal dio egizio Kunshu e trasformarsi in Moon Knight così da poter combattere l’antagonista Harrow.
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La serie però comincia subita fin dal primo episodio a mostrare caratteristiche tipiche dell’ MCU, più ridanciane e vivaci, che si discostano un po’ dalle premesse più drammatiche. Questi toni però stonano un po’ nel contesto generale della serie. Da un matto malato mentalmente che crea una sua personalità per controllare la sua collera dovuta alle frustrazioni infantili, alla gelosia per il fratello preferito dai genitori, alle violenze domestiche della madre, si passa a una dea ippopotamo che oltre a riuscire ad essere incoerente narrativamente avendo solo una manciata di battute, fa da comedy relief comportandosi in maniere imbarazzanti e per nulla adeguati al tipo di personaggio che dovrebbe essere.
Moon Knight non appare per episodi interi e alcune dinamiche nella parte centrale non sono ben chiare. Come non lo sono le regole di questo mondo. Non si capisce quali sono le condizioni degli dei, dei poteri degli avatar e dell’autorità delle divinità nei confronti dei loro avatar. Ad esempio nel finale vediamo Ammit che diventa enorme poiché ingerisce le anime dei morti giudicati dai suoi seguaci, ma subito dopo anche Konshu si ingrandisce nonostante non gli sia accaduto nulla.
Ma i veri problemi arrivano nel finale, in cui vediamo amplificati i principali problemi delle puntante precedenti. La sospensione dell’incredulità mette spesso alla prova noi spettatori. I personaggi infatti hanno reazioni agli eventi che accadono certe volte assurde, e succedono cose al limite della credibilità, come Layla che si intrufola in delle auto con al massimo una dozzina di altri uomini, il fatto che Konshu si faccia dare ordini da Layla.
Cosa ha l’asciato davvero l’amaro in bocca è il finale che non chiarisce molte sottotrame ancora aperte e si conclude con un cliffanger senza senso che lascia più domande che risposte, risposte che non vedremo mai credo, dato che la serie non prevede seconde stagioni, anche perché è la serie Marvel Disney+ con meno successo fino ad ora.
moon knight ecco il trailer della nuova serie marvel
Ne parlo meglio nel video su Youtube, che puoi trovare qui, in ogni caso seguiteci su tutti i nostri social.
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Recensione del nuovo film dell’MCU Doctor Strange in the Multiverse of Madness (2022), diretto da Sam Raimi.
Il successo di No Way Home ha creato così tanto hype che è stato difficile arrivare in sala senza un po’ di timore per il film. Ma ora ne parliamo meglio in questa recensione spoiler di Doctor Strange in the Multiverse of Madness.
Il film stupisce dal punto di vista tecnico, credo che la Marvel non abbia mai raggiunto questa autorialità in un prodotto. Sam Raimi risulta infatti senza briglie, sfarzoso nelle inquadrature e nelle scelte registiche. La CGI convince in praticamente tutta la pellicola e si supera in alcune sequenze davvero strepitose. Non posso non parlare della trama, che a mio avviso nella sua semplicità, pur perdendosi un po’ nella parte centrale, riesce comunque a soddisfare considerando che per la prima volta al quarto prodotto col multiverso, questo viene gestito decentemente.
Cumberbatch mantiene il suo retaggio recitativo, ma chi per la prima volta al cinema ha la possibilità di esprimersi al massimo è Elisabeth Olsen, che finalmente non interpreta solo la Wanda drammatica e con dolori da sopportare, ma similmente a WandaVision, le viene concessa qualche scena più profonda e umana. Ho apprezzato anche l’interpretazione di Xochitl Gomez nei panni di America Chavers. Ho trovato Wong sempre sul pezzo, interpretato da Wong (solo io mi sono accorto di questa cosa?), anche se sinceramente speravo morisse per lasciare il posto a uno Strange sempre più maturo e ormai in pace con se stesso riguardo al suo rapporto con Chistine Palmier, e personalmente quando cade dalla montagna e poi è risalito mi è un po’ dispiaciuto, soprattutto perché si salva con uno dei deus ex machina più cliché di tutti i cliché, ma vabbè.
Parlando un po’ della trama più nello specifico, il film parte di corsa, forse un po’ troppo, l’unica scena di respiro è quella del matrimonio, ma da lì in poi si viene trascinati in un continuo rincorrere persone o cose, ma sinceramente non risulta un punto negativo. La parte centrale però presenta alcune problematiche, sia con la gestione di Wanda, sia con quella Illuminati.
Personalmente questi ultimi li ho trovati un po’ buttati, forse perché ero curioso di sapere un po’ di più, e anche perché muoiono tutti come dei deficienti tranne Mordo, che in qualità di Stregone Supremo di quell’universo, viene sconfitto da Strange a causa di un rialzamento di pietra. Cosa? Vabbè, lo stesso vale per il Reed Richards di Krasinski, che da uomo più intelligente della Terra, fa uccidere Black Bolt in maniera davvero poco dignitosa. Ma tralasciando queste piccolezze, personalmente ho trovato nel personaggio di Scarlet Witch un po’ troppa “overpowerosità”. Insomma, capisco che è corrotta dal Darkhold, ma letteralmente non la ferma nulla, riesce a sconfiggere perfino lo stesso Xavier che mentalmente aveva frenato Jean Grey impazzita. Avrei preferito vederla fallire un po’ di più, così da alimentare il suo movente.
Però in generale, a parte il potere dell’amicizia nel finale, il film riserba scene allucinanti come quella della battaglia musicale, o delle ali fatte dai demoni, e tutte le altre scene horror con la cifra stilistica di Raimi. Il Multiverso è gestito un po’ meglio rispetto agli altri prodotti, ma è il quarto che presenta regole diverse. Una tra tutte che avevo anticipato anche nell’articolo sul “cosa devi sapere prima di vedere il film” che trovi qui, c’è il fatto che gli stessi personaggi nel multiverso hanno lo stesso aspetto fisico, mentre in No Way Home gli Spider-man hanno tutti facce diverse. Quindi speriamo riescano a rimanere su questa scia e non retconnino tutto perché tanto le spiegazioni le sappiamo: non ci avevano capito nulla nemmeno loro.
Multiverso della Follia Tutte le varianti di Doctor Strange
In conclusione, il film ha un’impronta registica molto presente e personalmente ho amato il taglio horror che Raimi ha voluto dare alla pellicola, osando anche un po’ invece di rimanere sui canoni classici dell’MCU. È un ottimo punto di ripartenza per una fase 4 per ora molto deludente.
E voi cosa ne pensate?
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Recensione del terzo capitolo della saga di Animali Fantastici – i segreti di Silente, ambientato nel mondo di Harry Potter
Se siete appassionati del franchise di Harry Potter, avrete sicuramente sentito parlare della saga di Animali Fantastici, il cui terzo capitolo sbarca in Italia il 13 aprile 2022, per la regia di David Yates con il titolo “i Segreti di Silente”.
La pellicola arriva dopo un deludente secondo film, che lascia tanto amaro in bocca poiché si discosta dal precedente per tematiche e struttura narrativa. Ma per fortuna torna alla sceneggiatura Steve Kloves dopo aver scritto tutti e 8 i capitoli di Harry Potter, con una trama soddisfacentemente “tappabuchi”. Il film gira tutto intorno all’elezioni del leader del mondo magico, contesa inizialmente da Vicência Santos e Liu Tao, ma successivamente si aggiunge come candidato Grindelwald, ritenuto non più ricercato per insufficienza di prove. Perciò Silente riunisce un gruppo formato da Newt Scamander, il fratello Theseus, Yusuf Kama, Jacob Kowalski, Bunty e la professoressa Hicks, poiché è ancora legato dal patto di sangue con Grindelwald. I sei protagonisti devono riuscire a impedire che Grindelwald venga eletto.
Il film si presenta come un terzo capitolo un po’ più impegnato rispetto ai primi due, poiché va a trattare temi come la politica, che sinceramente ho apprezzato. I film di Harry Potter è noto siano per un pubblico più giovane, perciò penso che alzare il target sia stata una mossa vincente, così da permettere un’esplorazione del mondo magico anche nel fronte della politica. Finalmente gli animali fantastici tornano un minimo protagonisti dopo che nel secondo episodio erano stati lasciati un po’ in secondo piano e nuovamente ha senso che chi debba combattere uno dei più potenti maghi di sempre siano un semplice magizoologo.
Dal punto di vista tecnico, infatti, la qualità soddisfa visivamente e le inquadrature ad ampio respiro affascinano, oltre a farti innamorare di nuovo di questo universo. Dal punto di vista narrativo riesce a rimarginare alcuni squarci lasciati dalle precedenti pellicole, ma non riesce a distaccarsi da alcuni elementi già introdotti. Il problema qui ritorna ad essere Credence, che ancora una volta si conferma essere un personaggio problematico a livello di scrittura. Cosa che invece non è il Silente di Jude Law, il quale riesce perfettamente ad incarnare un Albus strepitoso, veramente da brividi. Un dilemma è invece il Grindelwald di Mads Mikkelsen. Il danese riesce a fare suo il personaggio e reinterpretarlo con grande personalità, ma a tratti sembra che facendo l’inevitabile paragone con Depp, il precedente attore spicchi per carisma e non si riesca a non preferire la star Hollywoodiana cacciata per le dispute con la moglie. Causa lo è anche il modo di vestire, che in questo film come nei precedenti rappresenta a mio avviso una pecca. I maghi, infatti, sono vestiti in maniera simile ai babbani, anzi, fin troppo.
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Quello che invece era apprezzato del Grindelwald di Depp era l’aspetto da mago. Ma non solo. Era più logico, più strategico, non sapevi mai che cosa aspettarti perché era imprevedibile. Qui invece sembra addirittura stupido, facendo imbucare Yusuf Kama nella sua comitiva nonostante egli fosse palesemente una talpa. Chi invece si riconferma un ottimo personaggio è il Newt Scamander di Eddie Redmayne, che convince ancora una volta, ed inoltre sorprende l’esplorazione del suo personaggio in tutte le sue sfaccettature.
Animali Fantastici
Il film dunque per quanto mi riguarda non salva il franchise, a causa delle sottotrame inutili e inconcludenti, alcune scene davvero insensate e personaggi ancora problematici, riesce a farti vivere veramente poco della parte avventurosa del brand, di cui avrebbe molto bisogno, soprattutto per la componente animali fantastici. I personaggi sono trattati veramente male, le loro dinamiche sono senza emozioni, senza un preciso focus sul soggetto della narrazione. Gli eventi sono spesso tralasciati senza essere spiegati. Il lato fanservice è davvero gestito da cani. Alcune scene sono incomprensibili e illogiche, e addirittura alcuni personaggi non sono utili in nessun modo ai fini della trama. In conclusione possiamo dire che Animali Fantastici i Segreti di Silente spreca ancora una volta l’occasione di raccontare una bella storia ambientata nel favoloso mondo di Harry Potter.
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Link ufficiale al sito Warner Bros. per informazioni più ufficiose.
Lo studio di Popspace ha ospitato l’attore e doppiatore Mirko Cannella per parlare di doppiaggio, teatro ed altro ancora, in un’intervista trasmessa in diretta su Twitch ora disponibile anche sul nostro canale YouTube!
Mirko Cannella è stato ospite di Popspace per fare due chiacchiere sul suo lavoro di attore e doppiatore e parlare dei più celebri personaggi a cui ha dato la voce, passando per serie tv, anime e non solo. L’intervista è stata trasmessa in diretta sul canale Twitch PopspaceIT, ma è ora disponibile anche sul nostro canale YouTube. Non perdetevela!
Con una lunga carriera costellata di alcune delle battute più memorabili del piccolo schermo, l’attore ci ha raccontato della sua vita divisa tra doppiaggio e recitazione in teatro, dove lavora con la sua compagnia “I Pezzi di Nerd”, che nei prossimi mesi porterà uno spettacolo originale in giro per l’Italia!
Di Mirko è la voce di Lancel Lannister (Eugene Simon), che nel Trono di Spade annuncia a Robert Baratheon che “non c’è più vino.” Sempre sua la voce di Jack Wallside, che scatena il suo “Muro di Roccia” sui campi da calcio di Inazuma Eleven.
A sinistra, Mirko Cannella, a destra, Lorenzo (Peparini) e Chiara di Popspace; cr: Popspace
Tra i suoi personaggi più noti figurano Billy (Dacre Montgomery) di Stranger Things, Jughead (Cole Sprouse) di Riverdale, Rio (Miguel Herrán) de La casa di carta, Cahir (Eamon Farren) di The Witcher e Su-Hyeok (Park Solomon) della recente serie coreana targata Netflix Non siamo più vivi.
“Quando sto lì in sala vedo lo schermo e vedo quello che fa lui [il personaggio, nda], guardo gli occhi soprattutto, le emozioni che cerca di trasmettere sia nel parlato ma anche nello sguardo, perché spesso lo sguardo trasmette più di quello che dice la parola. […] A me nel corso del tempo è servito molto fare teatro, […] infatti quando mi chiedono ‘come posso fare il doppiatore’, dico: intanto parti dal teatro”.
Ripercorriamo insieme a Mirko alcuni dei suoi lavori più noti e memorabili, tra le difficoltà che le differenze tra le lingue del materiale originale possono porre ed il lavoro spesso frenetico che si cela dietro le quinte di una sala di doppiaggio.
Potete recuperare l’intervista su Twitch o su YouTube, e non dimenticate di iscrivervi al nostro canale ed attivare le notifiche! E se volete recuperare la prima intervista fatta a Mirko Cannella da Popspace, cliccate qui!
Intervista di Chiara e Lorenzo / Idea di Marco Nepi / Produzione di Adesso Agency
Siamo spesso portati a dare per scontato tantissime cose che riceviamo quotidianamente quasi in modo incondizionato.
Materialmente potremmo visualizzarle in un tetto sulla testa e una tavola sempre imbandita, oppure più astrattamente nell’amore da parte dei nostri genitori, nel sostegno dei propri amici, o addirittura nella prospettiva di futuro roseo. Tutto ciò sono elementi che ci aiutano a percorrere la nostra vita e ci sorreggono lungo quella traversata sul filo sottile, fatto di gioia e di dolore, chiamato vita. Ma chi non avesse tutto ciò? Come potrebbe riuscire, passo dopo passo, ad andare avanti? Amici miei, parliamoci seriamente, la propria ed unica volontà a continuare ad andare avanti è solo una mera e ridondante illusione, che non può fermare una persona dalla propria caduta, soprattutto quando la vita decide di tirarti addosso tutta la merda di questo mondo. Ma è davvero cosi?
Se cerchiamo su wikipedia il significato di randagio, ci verrà rigurgitato sullo schermo il classico risultato, impeccabile e quasi impassibile, che recita come da manuale: “Randagio, animale privo di un padrone o di un rifugio”. Oltre a ciò wikipedia accenna, nella sua definizione, al randagio non solo come animale ma anche come persona: “Randagio, persona costretta dalle necessità o dalle traversie della vita a non aver mai una dimora fissa”. Però riguardando attentamente questa frase, non posso non negare di storcere il naso, ritenendola a mio parere abbastanza incompleta. Wikipedia, come ovviamente dovrebbe fare, visualizza il randagio nella sua realtà materiale, nel suo mondo razionale e ben definito, ma non si sofferma sulla parte astratta e mentale che rende un randagio tale. Un randagio non è solo colui che non possiede una fissa dimora ma, a mio parere, si definisce anche con chi non riceve quegli elementi essenziali citati prima che costruisco e formano una persona nel corso della sua vita, e questo cari lettori, lo si capisce bene all’interno del manga che vi sto per raccontare.
Ecco il vero significato di Randagio
Come potete aver già capito, oggi parlerò di Randagi, una serie di manga composta da 4 volumi totali, edita da J-Pop e scritta e disegnata da Keigo Shinzo. Alle vostre orecchie potrebbe suonarvi nuovo come autore, perché effettivamente questo giovane mangaka è abbastanza sconosciuto qui in Italia, ma comunque è riuscito a farsi un nome grazie alla sua delicatezza con cui disegna, ma al tempo stesso alla sua profondità con cui scrive le sue storie. Randagi infatti è la sua ultima opera in ordine di uscita, ma da prendere sicuramente nota ci sono anche Tokyo Alien Brothers, un manga di 3 volumi in cui assisteremo alle avventure di due alieni mandati in ricognizione a Tokyo e Midori no Hoshi composto da 4 volumi totali che racconta la storia di Takaichi un pilota di cargo spaziale, schiantatosi su un pianeta alieno. Ma ovviamente non siamo qui per parlare di tutte le opere di Shinzo. Direi di iniziare questo nostro piccolo viaggio, che dite? Forse vi ho già preso troppo tempo. Prima però piccolo reminder a questo articolo che se foste fan di manga potrebbe interessarvi.
Keigo Shinzo, un giovane mangaka con un tratto delicato e una scrittura profonda
Per quanto personalmente mi siano eccessivamente piaciuti questi 4 volumi, non posso che ritenere la sua trama alquanto banale: storie come questa si sono viste in tutte le salse e una narrazione del genere è qualcosa di abbastanza “semplice”, passatemi il termine. Ma ovviamente non sarei qui a raccontarvi di Randagi, se non ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che rende unica questa storia. Prima di passare a questo argomento però, forse sarebbe opportuno se effettivamente vi raccontassi la storia di Randagi: Nella gigantesca metropoli di Tokyo, che con i suoi neon fluorescenti, le sue sale gioco da 7 piani e i suoi chioschetti marci di ramen, dove i salaryman trangugiano birra e divorano spiedini di carne non proprio identificata, la vita sembra perfetta, sembra scorrere liscia come l’olio, si proprio di l’olio di cui sono ricoperti quegli spiedini. Se questo ai nostri occhi occidentali può sembrare il paradiso, beh sicuramente può esserlo, chi mai non vorrebbe vivere una vita di svago a Tokyo, metà turistica di tantissime persone. Ma ovviamente come può essere l’eden per alcuni, non lo sarà per tutti, d’altronde può esistere paradiso senza inferno? Sarebbe troppo utopistico dire di si e l’ispettore Yajime Yamada lo sa benissimo. Yamada, ispettore di polizia, è intento a liberare Tokyo, la nostra amata e tanto osannata Tokyo, da questa malattia pestilenziale diffusa ormai per molti vicoli della gigantesca città, rappresentata dallo sfruttamento minorile in squallidi bordelli, o per gli amici “centri massaggio”. Yamada però non è solo un poliziotto, è anche un padre, o almeno, lo era. Dopo la morte della figlia e il divorzio dalla moglie, il nostro ispettore si è trasformato in un guscio vuoto, con nulla tra le mani, se non un lavoro ben retribuito e una casetta in periferia. Il suo volto spento e ormai vacuo, però una sera d’inverno si riaccende. In un blitz di uno dei soliti disgustosi “centro massaggi” tra le svariate ragazze minorenni all’interno dell’edificio, Yajime scorge in particolare una ragazzina di soli 16 anni, Shiori Umino, scappata di casa da una madre violenta, che spaventosamente assomiglia tantissimo alla figlia scomparsa. Dopo quel momento Yamada non potrà più togliersi dalla testa Umino e deciderà egoisticamente di salvarla da quella vita sbandata e pericolosa in cui è stata costretta a rifugiarsi, questo per riuscire in futuro ad non avere nessun rimpianto. Oppure, sarà Umino a salvare Yamada?
Riusciranno Umino e Yamada a salvarsi da quell’inferno?
Ecco tenete bene a mente queste due ultime frasi perché sono cardini importanti della psicologia con cui è stato concepito Yamada e fanno di lui un personaggio molto interessante. Nulla togliere ovviamente a Umino certamente, una ragazza forte e quasi indistruttibile che combatte con le unghie e con i denti, ma che al suo interno risiede un forte senso di solitudine, che ovviamente non può essere mostrato perché potrebbe rivelarsi vulnerabile ai diavoli che infestano Tokyo. Shiori è una ragazza sola e abbandonata al corso inesorabile degli eventi, in quella città che però di paradiso per lei non ha nulla. Anche per Yamada questa città accecante non ha in serbo niente, non ha nessun eden da mostrargli; niente può colmare quel vuoto che lo sta divorando dall’interno, niente può fermare quel dolore che Yamada sta provando e niente e nessuno riuscirà mai a riportare indietro sua figlia, ma questo Yajime lo sa bene. Sorrisi finti, espressioni vacue, occhi assenti incavati all’interno di un uomo stanco e a pezzi. Ma Yamada pur avendo questo suo tedio dentro il suo cuore farebbe di tutto per riottenere quella pace e quella spensieratezza che condivideva con sua figlia un tempo. Ed è questo pensiero puramente egoistico che muove le redini di questo personaggio e che porta Yamada a salvare Shiori: non la salva perché in difficolta, non la salva perché ha bisogno di una figura famigliare che la sostenga, ma perché semplicemente il fato ha voluto farla somigliare alla sua defunta figlia. Il nostro protagonista è un uomo e un padre a metà che pur di “non avere più rimpianti” decide arbitrariamente di avere una seconda possibilità, con una povera ragazza disposta a tutto pur di avere quegli elementi essenziali che la porterebbero a non essere più una randagia. Anche fingere.
Shiori una ragazza indistruttibile e Yamada un gentile ma egoistico guscio vuoto
Ciò che quindi mi ha fatto amare questo manga, come potete ben intuire non è la sua storia di per se, ma come essa viene raccontata e di come si presenta agli occhi del lettore. Il modo in cui Shinzo con i suoi disegni riesce a penetrare nell’anima e nelle viscere del lettore è qualcosa di estremamente commovente e a volte anche straziante, ma che riesce a far risplendere questa opera nel miglior modo possibile. Il tratto dolce, pulito e tenue rende ogni scena adorabile e leggera in modo da non affaticare troppo gli occhi del lettore anche se, in contrasto con l’uso abbastanza costante di spazi bianchi, non mancheranno tavole dettagliate e ricche di piccoli particolari che andranno a bilanciare quella “vuotezza” data dal bianco. L’ampio uso di tavole bianche, è sicuramente ben studiato da Shinzo perché spesso rilette l’interiorità del personaggio stesso e mette in mostra quanto, fra sorrisi finti e sguardi vacui, in fondo all’interno di ogni personaggio, non ci sia nulla, portando alla luce il guscio vuoto che in realtà sono. Ma tutto ciò come già detto non va ad escludere la presenza di fini e soavi dettagli che vanno ad arricchire, non solo scenari, ma soprattutto i volti dei personaggi, in particolare quelli dei protagonisti. È davvero incredibile come Shinzo con l’unico uso della mano riesca a creare volti dal così forte significato, scaraventandoci addosso così tante emozioni che, come una freccia, colpiscono perfettamente il nostro cuore. Ma attenzione se da una parte Shinzo, con la sua mano gentile pervade il suo intero racconto con sentimenti come tristezza abbandono devastazione, insieme anche a qualche sprazzo di gioia e tranquillità, dall’altra troviamo come “un’altra”mano; una mano sporca, pesante e quasi distruttiva, che nei momenti seri e cupi si lascia andare a tratti più spessi e caotici spennellando alla perfezione le emozioni di rabbia e collera, che i personaggi stanno provando
Un tratto delicato e gentile, ma anche deciso all’occorrenza
Quindi oltre a questo suo tratto leggero, ma anche deciso, che contraddistingue il titolo di Shinzo, ci sarebbe anche un altro elemento, o per meglio dire, una parte più personale del mangaka, che risulta essere la sua “mano giovanile”. L’aria che si respira all’interno di questo manga è un’aria fresca e sicuramente al passo coi tempi, derivata dalla giovane età di Shinzo che ci scaraventa addosso ambientazioni, personaggi, vestiti ma soprattutto tematiche attuali del Giappone. Sicuramente quando si è giovani si hanno più energie, si è più disposti a tirarci su le maniche e a combattere per i propri ideali e per i problemi che interessano il singolo, ma anche la collettività. Shinzo oltre ad intrattenere il pubblico, con una bella storia, vuole mostrarci un po’ di quella sua volontà e quello slancio che ribollono ancora nelle sue vene, facendoci partecipi delle problematiche che affliggono il Giappone e più nello specifico Shinzo stesso. Questo suo grido di denuncia porta il lettore a riflettere e a vedere Tokyo, insieme all’intero Giappone, non più come il paradiso terrestre, ma come un qualsiasi stato della Terra, in cui pullula corruzione, disagio e malessere. Il primo dei problemi che grava sulle spalle di Keigo è sicuramente lo sfruttamento e prostituzione minorile, che levita attorno a questa cultura totalmente malsana della venerazione del corpo minorenne femminile. Oltre a questo terribile problema Shinzo ne collega uno più contemporaneo e che di solito, nella svariata lista di problematiche di cui è colpevole il Giappone, passa sempre sotto banco, cioè quello dei social. È incredibilmente assurdo visualizzare che non solo questa orrenda cultura del corpo non si trovi unicamente per strada, magari nei locali imbucati in qualche vicolo buio, ma sia anche sotto gli occhi di tutti, cioè nei social. Il mangaka mette fortemente in mostra come sia diffuso questo problema e di quanti carnefici ne facciano parte. Dal salaryman più pacato allo studente di università, moltissimi utilizzano i social per ottenere carne giovane da poter utilizzare a loro piacimento, in cambio del loro cibo,della loro acqua e del loro tetto sotto cui ripararsi. Non vi devo nemmeno stare qui a dire quanto questo “luogo virtuale” non sia rose e fiori, tant’è che trai i disegni e le tavole del manga si scorge ampliamente quanto questo luogo sia malsano, ma soprattutto quanto sia comune. La facilità con cui una ragazza possa entrare all’interno di questo terrificante tunnel è qualcosa che fa gelare il sangue. Infine Shinzo decide, nascosto tra le righe dei dialoghi e dei disegni della sua opera, in un modo molto velato, di porre una forte critica, che si insinua all’interno di un po’ tutti i giapponesi, sulla generale mancanza di empatia fusa insieme ad una rigidità sociale profondamente radicalizzata. Il nostro caro mangaka ci vuole far osservare quanto la società giapponese, in questo caso, ponga sugli occhi dei suoi cittadini un bel paio di paraocchi, che portano il nipponico medio a far buon viso a cattivo gioco. Se da una parte devi mostrare, anche fingendo, di essere una animale sociale, integrandoti e facendoti inculcare nella testa gli interessi e i piaceri che la società ti obbliga a seguire, dall’altra l’unica cosa che ti deve importare non è nient’altro se non del proprio giardino. La società mi dice che questo vestito non è bello? Sicuramente sarà così. La società mi dice che non devo dire determinate cose? Sicuramente non le dirò. Se la società mi dice che chi scappa di casa, da una madre abusiva, è sicuramente per un capriccio e lo fa perché ancora immatura, allora sarà sicuramente così. Sono proprio questi sicuramente che premono sulle spalle di Shinzo e di cui sinceramente ci vuole parlare.
Queste sono alcune delle problematiche che gravano sulle spalle di Shinzo
Alla fine dei conti Randagi è un’opera che, attraverso la sua semplicità, è riuscita a colpirmi davvero molto e ha scaturito all’interno di me, moltissimi sentimenti. Felicità, tristezza, rabbia, egoismo, ma anche speranza, saranno alcune delle forti emozioni che questo manga riuscirà sicuramente a farvi provare. Questa serie da 4 volumi è una lettura che vi consiglio caldamente di recuperare. Una storia leggera che vi strapperà sicuramente un sorriso, ma probabilmente anche qualche lacrimuccia, affiancata da un disegno dolce, delicato ma anche deciso. Oltre a ciò potrete toccare quasi con mano e conoscere svariate tematiche che Keigo Shinzo mette in risalto ed entrare in contatto con alcune problematiche che affliggono il Giappone.
Una lettura leggera ma allo stesso tempo straziante
Ma quindi rispondiamo alla domanda fatta molto prima, all’inizio di questa recensione. Ma chi non avesse tutto quello di cui una persona normale ha bisogno per sopravvivere? I randagi non hanno solo bisogno di una casa sotto cui stare, ma hanno soprattutto bisogno di un elemento fondamentale: la felicità di essere vivi. E chi può essere, se non qualcuno che esso stesso la sta cercando, la persona migliore da cui ottenere questa felicità I randagi sono solo persone a pezzi, che se pur devastante dal corso degli eventi, riescono in qualche modo a completarsi a vicenda ed è questo che Shinzo ci vuole raccontare; una storia di due randagi che si completano, nel bene e nel male.
Se siete arrivati fino in fondo, bravi, e come “ricompensa” vi propongo questo altro manga molto interessante, lo trovate qui in questo articolo
Durante la conferenza stampa a tema The Witcher, a cui ho avuto il piacere di assistere nel corso del Lucca Comics and Games, sono intervenuti la showrunner Lauren Schmidt Hissrich, il production designer Andrew Laws e la costume designer Lucinda Wright, nonché gli attori del cast Joey Batey (Jaskier) e Kim Bodniac (Vesemir).
Dal palco del Teatro Moderno di Lucca, gli ospiti hanno condiviso con il pubblico i loro punti di vista sulla stagione di prossima uscita (17 Dicembre), sui prossimi progetti per il Witcherverse, sulla loro esperienza sul set e non solo.
Moderatore: Qual è il punto di partenza per immaginare questo mondo e i mostri che lo popolano?
Sulle poltrone rosse, da sinistra, Kim Bodniac, Joey Batey, Andrew Laws, Lauren Schmidt Hissrich e Lucinda Wright, cr: Popspace.it
AndrewLaws(ProductionDesigner): “Finalmente parliamo di mostri. Immaginare questo mondo, in particolare per la seconda stagione, parte certamente da una base che è la stagione uno, il che di fatto ci mette nella fantastica posizione di poter accrescere e costruire quel mondo, di espanderlo e dargli profondità.
“Ho iniziato i preparativi per la S2 a Luglio 2019, una settimana dopo aver finito la S1. Aver lavorato con i personaggi, cercando di capire come sarebbero cambiati insieme ai nostri attori, e con il team di scrittori, ci ha permesso di aggiungere incredibili stratificazioni a questo mondo, che credo potrete vedere riflesse nella stagione.
“Questa stagione raggiunge anche un nuovo livello in termini di mostri. Gli scrittori ci hanno fatto davvero un regalo, offrendoci incredibili possibilità. Penso che i fan saranno molto contenti, i mostri sono più grandi, più forti, più veloci, più arrabbiati, più pericolosi e più brutti… molto più brutti.”
Moderatore: Lavorare ai costumi è stato difficile oppure è stata una sfida positiva?
Henry Cavill nei panni di Geralt di Rivia, cr: Netflix
Lucinda Wright (Costume Designer): “Ѐ stata una sfida brillante da affrontare. Ho guardato la prima stagione ed, in qualità di designer, volevo trattenere le parti che funzionavano e progredire insieme ad i personaggi. Ho parlato con Henry [Cavill, interprete di Geralt di Rivia, nda] dell’armatura, e abbiamo deciso tra di noi di cambiarla, di renderla più lineare, più pratica, un look più “da assassino”, mantenendo comunque gli elementi di partenza.
Il copione mi ha dato tutte le informazioni che mi servivano per portare avanti i personaggi, dal momento che qui entrano in un nuovo livello e presentano nuovi strati di sé stessi, [rappresentati anche] attraverso l’uso dei colori e di diverse shilouettes.”
Moderatore: Lavorare alla seconda stagione è stata una sfida diversa, e soprattutto, si è sentita la responsabilità del successo della prima stagione?
Anya Chalotra nei panni di Yennefer di Vengerberg, cr: Netflix
Lauren Schmidt Hissrich: “Sì e no, voglio dire, credo ci sia una certa responsabilità, ma quello che veramente c’è stato è una quantità maggiore di divertimento ed entusiasmo. Rende il nostro lavoro estremamente più semplice sapere che stiamo facendo qualcosa che non solo le persone apprezzano, ma che anche nuove persone stanno scoprendo, persone che magari non hanno mai letto i libri o giocato i videogiochi, e che si stanno appassionando al mondo Witcher come le persone che vi sono cresciute. Questo è stato un aspetto davvero bello di questo viaggio.”
Moderatore: Ed in merito alla terza stagione cosa potete dirci?
Lauren Schmidt Hissrich: “Ѐ una stagione molto interessante, che segue da vicino la trama di un certo libro in particolare. La terza stagione sarà piena di azione, morte… morte ancora…”
AndrewLaws: “… e mostri.”
Lauren Schmidt Hissrich: “Se ce lo consentissero, noi saremmo disposti a fare la stagione 4, 5, 6 e via dicendo, ma quello che posso assicurarvi è che non abbiamo intenzione di continuare al di là del materiale originale di Sapkowski. Piuttosto, mi interesserebbe esplorare alcuni aspetti affascinanti di questi mondi che l’autore non ha esplorato allo stesso modo [rispetto ad altri], come con la serie Blood Origin, che tratta della Congiunzione delle Sfere.”
THE WITCHER: Blood Origin – cast e logo ufficiali
Netflix ha di recente annunciato grandi novità riguardanti la serie prequel di 6 episodi The Witcher: Blood Origin. Prima fra tutte, il casting dei personaggi, i quali sono quasi tutti completamente nuovi all’interno del franchising. La serie si svolge infatti in un mondo antico ed elfico di 1200 anni precedente a quello del Continente come […]
https://www.youtube.com/watch?v=TJFVV2L8GKs
Ѐ a questo punto che vengono introdotti sul palco Joey Batey (Jaskier) e Kim Bodniac (Vesemir), e che ci viene mostrato in anteprima mondiale il nuovo trailer della seconda stagione di The Witcher.
Moderatore: Come ti sei preparato per il ruolo di Vesemir in questa seconda stagione?
Kim Bodniac: “Ho voluto davvero esplorare a fondo i videogiochi, studiare le abilità del personaggio, nonché il suo passato e la sua interiorità, ed è stato davvero emozionante. Ho scoperto che Vesemir costituisce una sorta di figura paterna per Geralt, in quanto è lui che l’ha “creato”.
Ho passato molto tempo parlando con Henry [Cavill] di sentimenti, dal momento che Lauren [Schmidt Hissrich] mi ha detto che la chiave di questa stagione è la famiglia, e la ricerca di una “casa” in quelli che sono tempi bui. Tutto il set è diventato come una famiglia, persino venire qui, essere invitato, è come avere un po’ di famiglia in tutto il mondo.”
Kim Bodniac nei panni di Vesemir, cr: Netflix
Moderatore: Abbiamo visto Jaskier in una situazione particolare all’interno del trailer, parlaci del destino del tuo personaggio.
Joey Batey: “Credo che in realtà Jaskier sia uno dei pochi personaggi a non essere definito dal destino, mentre tutti gli altri in molti casi sono stati uniti da forze al di là della loro comprensione. Durante la seconda stagione, cercherà di imparare a camminare con le proprie gambe, di essere una persona che non viene definita da un’amicizia o da una famiglia.
Direi che si è preso una sorta di anno sabbatico, mettendo alla prova la sua stessa moralità e cercando di capire se è una brava persona. Credo inoltre che questo possa riflettersi anche nel lavoro che abbiamo svolto sulla musica di questa stagione.”
Joey Batey nei panni di Jaskier, cr: Netflix
Chiara di Popspace: Joey, il tuo personaggio ovviamente è uno di quelli a cui il pubblico non può che affezionarsi. In che modo l’esplorazione del personaggio nella nuova stagione ti ha portato magari a scoprirne nuovi aspetti? E poi volevo chiedere se dalla nuova stagione possiamo aspettarci un’altra fantastica canzone…!
Joey Batey: “Grazie per la tua domanda! Credo che Jaskier si senta più a suo agio nella sua stessa pelle, e che sia sulla strada per scoprire chi è, il che è molto interessante da elaborare ed interpretare. In fin dei conti, lui è un poeta, il suo superpotere è l’empatia, e questo a volte può rendere difficile non sentire il dolore di qualcun altro.
Per quanto riguarda la canzone, non ne ho idea. Ci si può aspettare che continui a cantare, ma il secondo album dopo un successo è sempre più difficile.”
Se si guarda al futuro e si incomincia ad usare la propria sconfinata immaginazione, il cervello inizierà a fantasticare di città utopistiche e super tecnologiche con macchine volanti e grattacieli giganteschi, dove le persone riescono a vivere in armonia e in totale serenità. Se invece si guarda il rovescio della medaglia, nulla può essere perfetto: quando si parla di città utopiche, si parla appunto di un’utopia, di qualcosa che nella realtà non potrebbe mai accadere, soprattutto per come si sono sviluppate le cose al giorno d’oggi. Se dovessimo essere quindi più realistici, una realtà come quella di Orwell del suo romanzo 1984 potrebbe essere effettivamente considerata come una realtà più concreta rispetto all’utopica città tutta rosa e fiori. Un mondo senza libertà ne tantomeno privacy, in cui il cittadino è soggetto a controlli costanti sulla sua vita e sulle sue attività: uno stato dittatoriale che indottrina le proprie persone con false morali, nascosto sotto la maschera della democrazia. Paroloni che fanno paura e che creano all’interno delle persone una certa angoscia mista ad una innata voglia di ribellarsi dettata dalla nostra natura di esseri viventi liberi. Se invece si dovesse parlare di pazzia, l’argomento prenderebbe una direzione assai discostante dall’argomento molto delicato che ho presentato prima, ma qui su Mind Scanners non è così. Cosa faresti se riuscissi in qualche modo a diventare uno dei controllori di questa futuristica città che attraverso l’uso di uno Scanner riuscirebbe, sotto comando dello stato, ad eliminare i “problemi” delle persone, ma cancellando insieme ad essi pure la loro personalità? Un vero e proprio lavaggio del cervello, che permetterebbe di risolvere i vari disturbi legati da questa strana “pazzia” riscontrata tra le mura della città dal governo. Ma quale è il vero concetto di pazzia? Chi può essere definire davvero pazzo oppure sano mentalmente? Ma soprattutto chi giocherebbe mai a fare dio, sui propri pazienti, decidendo per loro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, andando ad intaccare uno degli elementi più importanti dell’essere umano, che ci distingue l’uno dall’altro, cioè la personalità. Ma non tutti possono permettersi di essere dei disertori e ribellarsi quando c’è di mezzo la propria famiglia. Ottenuto questo gigantesco potere fatto di logoranti decisioni, cosa farai?
In questa città futuristica, ascolterai la tua morale o lavorerai per il governo per salvare tua figlia?
Mind Scanners è un simulation game, sviluppato da The Outer Zone e pubblicato da Brave at Night il 20 maggio 2021 su Steam. All’interno del titolo, si nota una forte somiglianza al famoso videogioco “Paper Please!” dove prenderai le sembianze di un “doganiere” ai confini di una distopica Russia degli anni 80, che dovrà controllare i documenti dei transitanti e affrontare diversi dilemmi interni al proprio paese. Se in Paper Please! torniamo indietro nel tempo, nell’universo di Mind Scanners tutto il contrario! Ti ritroverai all’interno di una città futuristica, con grattacieli irregolari e robot ogni dove, in cui invece di controllare i passaporti dei nostri cittadini dovremo, attraverso uno strano apparecchio, controllare la salute mentale delle persone. Ma non è oro tutto quello che luccica! Questa gigantesca e super tecnologica città-stato ha isolato nostra figlia in uno dei loro laboratori, perché presentava segni di “strani e affascinanti problemi mentali” e doveva essere studiata per maggiori approfondimenti su questa sconosciuta malattia. L’unico modo per riuscire a rivederla è cercare di entrare all’interno del sistema e lavorare per lo stato come Mind Scanner. Questo governo ti imporrà di lavorare per loro, per “guarire” le persone affette da quella che loro chiamano “pazzia”. Ma questo trattamento ha ovviamente degli effetti indesiderati, che portano il paziente ha perdere completamente ogni sua forma di personalità, riducendolo ad un semplice guscio vuoto, come quelle conchiglie, quasi sommerse dalla gelida sabbia, lasciate indietro dagli ormai cresciuti paguri.
Un mondo dove il significato di pazzia, va troppo oltre i normali schemi che conosciamo oggi
Il gameplay di gioco, si baserà fondamentalmente sul tempo: tutto ciò che farai, dalla visita dei pazienti, al trattamento o anche semplicemente allo spostarsi per la città, richiederà un prezzo in termini di tempo. Ogni mattina ti sveglierai con 200 punti tempo a disposizione, che potrai gestire come meglio ti aggrada e appena avrai terminato questi punti sarai costretto a ritornare al tuo appartamento per riposare. Il tuo lavoro da Mind Scanner si dividerà in 3 sezioni ben distinte.
La prima è la gestione delle risorse e lo spostamento dal paziente: All’inizio della tua giornata sarai costretti, come un normalissimo stato farebbe, a pagare una tassa, con i soldi che guadagnerete attraverso la guarigione (ma anche dalla sola diagnosi) del paziente, anche se, come un non normalissimo stato farebbe, se non pagata porterà il giocatore a perdere il diritto di stare all’interno della città, causando quindi un game over. Questi soldi, insieme ai punti scienza, che guadagnerai pian piano durante la nostra avventura, potranno essere spesi per l’acquisto di strumentazioni, Power-up e miglioramenti utili al fine di velocizzare la procedura di guarigione. Per quanto riguarda lo spostamento, ogni giorno i pazienti si sposteranno da zona a zona della città e per essere visitati dovrai spendere dei punti tempo, che accrescono all’aumentare della distanza.
La prima fase del gameplay si basa sulla gestione delle risorse
La seconda sezione si basa sull’individuazione delle caratteristiche del problema mentale del paziente, che verranno svelate attraverso il riassemblamento dei ricordi del suo subconscio che, mentre descriverà eventi o luoghi del proprio passato, dovremmo ricollegare a tematiche più generale. Ma la seconda parte non è finita qui. Dopo aver creato la cartella clinica del paziente e aver diagnosticato ciò da cui deriva la sua pazzia, dovrai decidere se considerarlo malato o sano. E questo metterà sicuramente in grande difficoltà il giocatore! In questa nostra avventura infatti incontrerai svariate situazioni, che metteranno la coscienza del player in grande crisi! Ad esempio potresti incontrare chi ,di questa sua malattia mentale , riesce a trarne giovamento permettendogli di vivere in modo sereno. Ma non solo incontrerai persone con veri problemi seri, ma non per questo ricollegabili alla “pazzia”, che vorresti aiutare, ma facendo ciò andresti ad eliminare anche la loro personalità. Questo creerà dubbio, incertezza e dolore al giocatore che non saprà più che pesci prendere, ma che soprattutto si sentirà in colpa. E non è finita qui perché Il gioco sarà sempre pronto a far crescere questo tuo senso di colpa, continuando costantemente ad affermare che tutte le tue decisioni prese fossero sbagliate, attraverso molti disperati messaggi delle famiglie o da furibondi conoscenti dei tuoi pazienti! Questo pesante senso di colpevolezza sarà un compagno che ritroverai spesso all’interno del gioco e di cui non ti libererai molto facilmente.
La seconda fase del gaemplay si basa sulla diagnosi della malattia del paziente
Se invece si dichiarasse il paziente pazzo, il giocatore passerebbe alla fase 3 del gameplay, cioè il trattamento della malattia. Ogni malattia avrà delle specifiche caratteristiche rappresentate da dei simboli che dovrai eliminare attraverso l’uso di una barra da caricare. Oltre a questa barra da caricare, che eliminerà 1 singolo simbolo, il gioco ti permetterà attraverso l’acquisto di svariati power up, di poter eliminare 3 simboli uguali in una volta sola, svolgendo, tuttavia, dei minigiochi differenti a seconda del simbolo. Ti ritroverai a dover ricordare l’ordine di 3 segni differenti, alzare e bassare leve o individuare un pattern preciso di suoni, per poter semplificare il processo di eliminazione dei simboli e quindi della malattia. Ovviamente se commetterai un errore, il livello di stress del paziente si alzerà e se raggiunto un determinato valore, il paziente andrà in stress-out e sarai costretto a terminare seduta stante il processo di guarigione.
La terza fase del gameplay si basa sulla guarigione della suddetta pazzia
Lo stile grafico del gioco, personalmente mi è piaciuto molto: questa grafica pixellosa ma molto dettagliata non stona affatto sulla cornice futuristica e super tecnologica che circonda il titolo, mostrandoci personaggi molto eccentrici, con volti molto particolareggiati. Insieme a questa vasta minuziosità nel rappresentare i pazienti che incontrerai, fa capo anche un buon comparto sonoro, che avvolgerà il giocatore all’interno del gameplay e gli permetteranno di godere al massimo dell’esperienza che questo gioco presenta.
Un grafica pixellosa ma gradevole, accompagnata da un buon comporto audio
Un elemento che ho trovato affascinante e sfruttato molto bene, è la capacità di empatia che il gioco trasmetterà al giocatore nei confronti del paziente. Riavvolgendo i vecchi e passati ricordi del paziente, riuscirai a entrare in contatto con la sua vera psiche, permettendoti di creare una qualche sorta di legame. Tutto ciò creerà un forte senso di empatia all’interno del giocatore che si vedrà costretto, molto spesso, a dover combattere con i suoi pensieri e la sua morale, che andranno molto in conflitto: prendiamo ad esempio un uomo burbero il quale ,costantemente, ti riempirà di insulti e frasi senza senso. Ecco sicuramente non proveresti niente per quel paziente se non molto fastidio! Ma penetrando all’interno della sua psiche capirai come quella sua burberità, derivi da molti maltrattamenti famigliari, che hanno portato il povero uomo a creare questo meccanismo di autodifesa verso le altre persone. Non potrai far nient’altro se non provare forte dispiacere ed empatia per lo sventurato paziente. Ed è proprio questo l’elemento che sorregge il gioco, l’empatia, che attraverso questa connessione creata nei confronti dei pazienti, ti permetterà di entrare ancora più affondo nei panni del protagonista.
Uno degli elementi che sorregge la struttura del gioco è l’empatia
Anche se il gioco possiede questo forte elemento che lo caratterizza, dietro di lui si nascondono dei difetti, che non permettono al gioco di essere valorizzato al 100%. Con il lungo andare delle ore di gioco, si noterà una certa monotonia nel riprodurre le tecniche di “guarigione” dei pazienti, per non parlare del fatto che i minigiochi saranno spesso molto banali e ripetitivi. Oltre a questo si aggiunge una mancanza di un vero e proprio tutorial che possa spiegarti come svolgere i minigiochi nel modo giusto. A lungo andare, se non fosse per lo svilupparsi della storia e per le analisi delle psiche dei pazienti , il gioco risulterebbe abbastanza monotono e ripetitivo e questo non può che far scendere il potenziale del titolo.
Forse un gameplay che alle lunge può risultare ripetitivo
In conclusione Mind Scanners è indubbiamente un titolo carino, dalla durata di circa 8/10, che ti catapulterà nelle grinfie di una città, dalle dubbie morali, in cui ti troverai convolto in una guerra tra la tua morale e la libertà di tua figlia! Quale delle due prevarrà?
Con l’avanzare della tecnologia e il miglioramento generale delle condizioni di vita, l’uomo è riuscito a semplificare molte delle sue azioni quotidiane, ottenendo così sempre più tempo da dedicare al proprio intrattenimento. In questo suo, più che variegato svago, ormai composto da milioni e milioni di opzioni, c’è sempre stato, all’interno di libri, serie tv, film e videogiochi, questo stravagante fascino verso l’horror. Alle persone piace avere “paura” e trovano stranamente appagante prendersi quelle due orette per provare sulla loro pelle quei brividi che solo l’horror riesce a provocare. In questi anni però, l’etichetta del genere “horror” sta piano piano perdendo tutta la sua gloria che in passato possedeva: dando uno sguardo in giro, tra i prodotti etichettati come horror, si nota molto accentuatamente come essi si concentrino principalmente sul causare al consumatore unicamente spavento e sussulto, attraverso l’uso di miseri e spesso molto prevedibili jumpscare. Ma l’horror non è nato con questo unico scopo, anzi, la sua vera essenza risiede su un elemento fondamentale, che logora le menti dall’interno e causa probabilmente ancora più paura dei jumpscare, cioè l’ansia. Ed è proprio questo intrigante elemento che circonda e soffoca il titolo che ti sto per raccontare, provocando perciò questo costante e insistente inquietante turbamento: OFF. Non incontrerai jumpscare o nulla di questo tipo, ma farai la conoscenza di un mondo angosciante e dannatamente contorto che ti permetterà, attraverso immagini e personaggi disturbanti e suoni ansiogeni, di provare quell’ansia o inquietudine che, negli anni, si era decisamente persa.
OFF è un horror che si concentra principalmente sul causare ansia e inquietudine al giocatore
OFF è un horror RPG surreale creato da un team di sviluppo belga “Unproductive Fun Time” composto unicamente da Martin Georis (“Mortis Ghost”) sceneggiatore scenografo e programmatore e da Alias Conrad Coldwood progettista del suono. Pubblicato nel 2008 in lingua francese, OFF prende fortemente spunto, come ormai quasi tutti gli RPG in circolazione, da Earthbound, per quanto riguarda il combattimento e le sue meccaniche, ma le mischia a complessi e divertenti puzzle in un mondo totalmente irrazionale e quasi onirico. Anche se prende molto spunto da Earthbound, mi prendo la briga di considerare OFF come un RPG atipico, diverso per molti aspetti ad altri titoli che si avvicinano a lui, solo per il fatto di essere RPG. Ciò che, a mio avviso, lo discosta particolarmente dai suoi fratelli è l’atmosfera che, in qualche modo, riesce a creare: un mondo contorto, strano e a volte spaventoso invaso da spettri inquietanti e abomini deformi, avvolto da suoni e rumori stressanti e anormali. Tutto ciò creare questo ambiente angoscioso e pesante, difficile da digerire, ma proprio per questo molto interessante.
L’unione di un RPG e un Puzzle game in un mondo contorto e a volte spaventoso
Se si deve parlare di stranezze e inquietudine sicuramente anche la trama di OFF non è da meno: ti risveglierai nelle sembianze di “The Batter”, un classico giocatore di baseball con annesso mazza in ferro, che si presenterà come tuo guscio, in cui al suo interno risiederà l’anima del giocatore. Ma il The Batter possiederà comunque una sua coscienza e sin dagli inizio della tua avventura, in quel mondo caotico, si introdurrà con un semplice ma coinciso obbiettivo: quello di purificare l’universo di OFF. Questo mondo totalmente fuori dall’ordinario è composto principalmente da 4 zone collegate tra loro da una dimensione chiamata “The Nothingness” un raggelante e buio luogo che ti permetterà di spostarti tra le varie zone del mondo. La prima zona che incontrerai sarà la zona 0, l’area tutorial del gioco, in cui incontrerai il “The Judge” un raccapricciante gatto sorridente che si offrirà di aiutarti nell’adempimento del tuo obbiettivo. Proseguendo nel tuo percorso ti addentrerai nella zona 1 un luogo in cui i suoi abitanti scavano in svariate miniere per far in modo che i gas intrappolati nelle rocce possano liberarsi nell’aria ed essere respirati dalle persone. Andando avanti troverai la zona 2 una zona residenziale in cui al suo centro svetta una altissima e sapiente libreria, mentre nell’ultima zona, la zona 3, arriverai nei pressi di una industria dall’aria molto sospetta, ma soprattutto inquietante! Una trama, questa, che non segue assolutamente nessun filo logico o materiale a cui siamo abituati a pensare: oceani di plastica liquida, mucche sventrate per raccoglierne il ferro e rivoltanti cascate di sangue, saranno solo alcuni dei luoghi che questo titolo ha in servo per voi. Ma non è assolutamente finita qui! Se da una parte la stravagante trama possa sembrare che si concentri unicamente sulla creazione di quella angosciante inquietudine, ti posso assicurare che non è così: dietro a questo mondo così troppo bizzarro c’è qualcosa, qualcosa di intrinseco che deve essere rivelato.
Un mondo formato da 4 zone, una più inquietante dell’altra
Come ogni RPG di tutto rispetto, anche OFF possiede le classiche caratteristiche di un gioco di ruolo: punti ferita, mana (il CP), statistiche e livelli potranno essere aumentati, uccidendo i nemici che ti si pareranno davanti, in modo da sbloccare diverse abilità speciali per te e i tuoi compagni. La particolarità di queste fight, che a lungo andare diventeranno un po’ ripetitive, sarà la caratterizzazione fisica degli stessi nemici o per meglio chiamarli abomini. La scelta di rendere questi nemici fortemente inquietanti e parecchio suggestivi (combatterai contro teste mozzate volanti o corpi deformi) renderà l’atmosfera ancora più cupa e soffocante di quanto non lo fosse già. Per ovviare alla ripetitività delle fight, gli sviluppatori hanno dato la possibilità al giocatore di svolgere le fight in modo automatico, così da velocizzare i combattimenti che, a mò di allenatore Pokèmon nell’erba alta, spunteranno da ogni dove. Ad accompagnare questo semplice, ma anche complesso gameplay, fatto di strategie e previsioni, si accosteranno anche una serie di intriganti ed elaborati puzzle, come labirinti, codici da ricordare o indovinelli che dovrai cercare di risolvere per proseguire nella tua avventura, ma anche per smorzare quella monotonia che poteva derivare da quei macchinosi combattimenti.
OFF un RPG horror atipico rispetto ai suoi fratelli
Per quanto riguarda lo stile grafico e le sue ambientazioni , sono quel che sono: il titolo rifacendosi ad uno stile grafico molto simile a quello di un Earthbound o di un Pokèmon rosso su Gameboy, in cui non troveremo grandi dettagli o particolari strutture, renderà la mappa di gioco abbastanza vuota. Ma questa “emptiness” non la considererei come un elemento del tutto negativo, tutt’altro! Infatti essa, insieme alle splendide e ansiogene musiche e ai perfetti suoni disturbanti e a volte raccapriccianti, riusciranno a creare una magnifica ambientazione angosciante e terribile per la quiete della propria psiche. Tutto ciò che vedremo o che sentiremo dentro OFF sarà sbagliato, ma nel senso giusto del termine: acqua rosa, pavimenti di colore verde o fucsia fluo, bisbigli o voci ansimanti che ti invaderanno le orecchi e egli occhi, incastrandosi dentro la tua testa e logorandola dal suo interno. Tutto ciò riuscirà a colpire il giocatore e a portare a termine uno degli scopi di questo titolo, cioè creare inquietudine.
Uno stile grafico e ambientazioni semplici ma perfettamente ansiogeni
Uno dei molti fattori che ha suscitato in me questa strana e opprimente sensazione di angoscia è stato l’uso geniale, da parte degli sviluppatori, di un sottospecie di dualismo della realtà: se da un lato lo stile grafico ricorderà costantemente al giocatore di trovarsi all’interno di un gioco e quindi di non essere appartenente a quella realtà caotica, dall’altra parte attraverso l’uso ingegnoso di immagini con una parvenza di realismo, per narrare la trama di ogni singola zona, creeranno nel giocatore una sorta di smarrimento, amplificando la sua sensazione di angoscia. Ciò che non ti potrà sembrare reale, sarà narrato e ti sarà presentato come se davvero lo fosse, mandandoti in confusione e spengendoti infondo al quel pozzo rappresentato da questo terribile e angosciante mondo.
Un dualismo della realtà utilizzato per mandare in confusione il giocatore
Pur la grande qualità del titolo, anch’esso presenta dei piccoli difetti ma abbastanza minimi da non intaccare l’incredibile esperienza che il gioco offre. Qualche calo di frame ogni tanto e un menù di combattimento un po’ confusionario, non andranno a gravare troppo sull’alto merito che va dato al titolo che riesce a ricreare questa splendida e quasi dimenticata terrificante atmosfera, che negli ultimi anni si era quasi persa. In conclusione questo inquietante titolo, dalla durata di circa 8/9 ore regala piccoli brividi e atmosfere terribilmente indimenticabili per chi, come me, era alla ricerca di qualcosa di inquietantemente diverso dal solo.
La neve ammutolisce l’ambiente. Ovatta l’aria, cattura i rumori, immerge in un silenzio freddo e profondo. Un ramo che si spezza, un fruscio di vento nell’oscurità della notte gelida. Siamo soli, persi nella notte, confusi dai rumori di un bosco imperscrutabile. Ma alle prime luci di un Alba grigia e senza sole, finalmente lo troviamo: il villaggio. Senza forze, aggrappati ad una flebile speranza: nostra figlia è laggiù, fra le catapecchie all’ombra di quel castello inquietante. È il momento di scendere nel Villaggio, è il momento di rientrare nell’incubo.
Quando nel 2017 uscì Resident Evil 7, Capcom riuscì a rilanciare prepotentemente la sua saga horror nell’attenzione mediatica mondiale. La paura, l’ansia ed il terrore finalmente erano tornati a fare da cornice ad un titolo solido, profondo, divertente e ben realizzato. Da lì, un ritorno al passato, con ben 2 remake realizzati, ed un successo enorme. Ora, dopo aver resuscitato Resident Evil, Capcom si appresta al passo più difficile: andare avanti. Ci avrà convinto questo ottavo capitolo della saga horror per definizione? Scopriamolo insieme.
Resident Evil Village riprende a narrare la storia di Ethan Winters 3 anni dopo le vicende di Casa Baker. Ethan e Mia, sopravvissuti all’inferno in Louisiana, si sono rifatti una vita, hanno una splendida bambina, Rose, e vivono tranquilli in Europa, lontani dai ricordi di un incubo senza fine. Tutto però cambia, quando Chris Redfield torna nelle loro vite, portando via la piccola Rose, ed uccidendo Mia, per scopi apparentemente ignoti. Per recuperare sua figlia, Ethan dovrà addentrarsi in un oscuro villaggio sperduto tra le montagne est-europee, dove ad attenderlo, ci sono indicibili orrori.
Gioco alla mano, Village ci fa capire subito che è figlio diretto di Resident Evil 7. La telecamera in prima persona ci fa tornare subito nei panni di Ethan, e le meccaniche di gioco sono rimaste pressoché invariate. Alcune piccole aggiunte però, come la possibilità di respingere i nemici dopo aver bloccato un attacco, permette di gestire molto meglio le fasi concitate di combattimento. In generale, muoversi nei panni di Ethan risulta essere molto più morbido rispetto al capitolo precedente, e le fasi di shooting sono molto più piacevoli e meno “meccaniche” rispetto al passato.
Fonte: Capcom
Ciò è un bene, poiché i nemici saranno decisamente inferociti e pericolosi. Molto più veloce ed agguerrita infatti, la schiera di mostruosità che ci troveremo ad affrontare nel corso del gioco sarà davvero variegata, fra nemici comuni, mid-boss e boss veri e propri, andando così a risolvere la mancanza di varietà che Resident Evil 7 invece pativa. Fortunatamente, per difenderci avremo varie bocche da fuoco, molte nascoste nei meandri del villaggio, altre invece acquistabili dal secondo personaggio più importante del gioco: il Duca.
Questo bizzarro individuo sarà il mercante di Village, capace di venderci qualsivoglia strumento utile alla nostra causa, da progetti per costruire bombe, mine e munzioni, ad armi vere e proprie, fino ad upgrade per le stesse. Dal Duca sarà inoltre possibile potenziare il nostro armamentario, sfruttando i Lei, la valuta di gioco, ottenibile sia uccidendo i nemici, sia recuperando i numerosissimi tesori nascosti negli angoli più sperduti del mondo di gioco. Sempre il Duca potrà poi potenziare il nostro Ethan, preparandoci delle succulente ricette per cui noi dovremo recuperare i materiali: carne, pesce saranno infatti ottenibli cacciando la fauna del villaggio; nulla di complicato, ma una simpatica aggiunta senza dubbio.
Giocando il titolo inoltre, abbiamo fugato un altro dei dubbi che ci era salito nel corso dell’attesa: Village fa paura. Lo fa in maniera costante, in alcune fasi in maniera molto più marcata di altre, ma riesce sempre a mettere una tensione di fondo che non lascia (quasi) mai il giocatore, tranne nella parte finale dove, in classico stile Resident Evil, si dà all’azione più marcata. Le atmosfere del villaggio poi, a differenza di quelle di casa Baker, sono più variegate, passando dalle sfarzose sale del Castello Dimitrescu, alle vie nevose del villaggio, fino a luoghi che non vogliamo spoileravi per non rovinarvi la sorpresa.
Tecnicamente, il titolo si mostra in una forma invidiabile. Grazie al già apprezzatissimo RE Engine, il villaggio si mostra in tutta la sua oscura bellezza. La cura per i dettagli, la definizione ed il ray tracing si uniscono ad una fluidità quasi granitica a 60fps, per un gioco fluido e spettacolare, che ci regala un impatto visivo davvero magnifico.
Fonte: Capcom
Un plauso doveroso va fatto inoltre all’impianto narrativo del gioco. Se Resident Evil 7, per la sua natura di “soft-reboot” aveva pochi collegamenti con la trama passata di Resident Evil (anche se molto importanti e stretti), Village invece si pone in maniera davvero centrale in tutta la lore del mondo di Resident Evil. Senza fare alcuno spoiler, vi basti sapere che contiene delle rivelazioni enormi sia, ovviamente, sul capitolo precedente, ma anche sull’intera storia dietro alla serie del survival horror: sono davvero tante le sorprese che vi attendono.
Village appare decisamente ispirato al quarto capitolo della serie: il villaggio, le sequenze più action, e la presenza del “mercante” sono tutti elementi che rimandano all’avventura di Leon Kennedy, ma al tempo stesso esalta anche l’aspetto puramente esplorativo e “survival” tipico dei primi 3 capitoli. Ci ritroveremo a passare più volte dalle stesse zone, alla ricerca dei tantissimi segreti nascosti e raggiungibili solamente ottenuto quell’oggetto o quella specifica chiave che ci aprirà una via prima chiusa. Il backtracking tipico di Resident Evil qua viene esaltato e diventa non solo parte centrale dell’avventura, ma una parte decisamente soddisfacente.
Per concludere, Resident Evil Village risulta essere una notevole evoluzione del precedente capitolo. Village è un titolo curato al dettaglio, complesso e soddisfacente, che nonostante incappi in qualche problema di bilanciamento fra le fasi action, quelle horror e quelle esplorative e survival, regala un’avventura veramente indimenticabile. Forte di una realizzazione tecnica impeccabile, di un gameplay rifinito e migliorato, offre inoltre di una quantità di contenuti davvero notevole, grazie alla amplissima rigiocabilità e alla gradita presenza della modalità mercenari, su cui però si poteva lavorare un po’ più a fondo. Le missioni, divertenti e piacevoli, alle difficoltà più alte mostrano un problema di bilanciamento non indifferente, che regala ai giocatori una frustrazione eccessiva e inaspettata. Ciliegina sulla torta, la componente narrativa del titolo regala ben più di una sorpresa, ponendo Village in una posizione decisamente di rilievo nella gigantesca narrativa di tutto il franchiste. Il risultato di tutti questi elementi non è quindi solamente uno dei migliori titoli del franchiste, ma uno dei migliori survival horror mai realizzati.
Il villaggio vi aspetta: sarete abbastanza coraggiosi da affrontarlo?
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Resident Evil Village – Edizione Steelbook [Esclusiva Amazon.It] – Xbox One – Xbox Series X
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Resident Evil Village – Collector’s Edition – Collector’s – PlayStation 4
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All’interno del nostro essere, organismi dotati di una coscienza , ma non per questo sempre concorde, viene spesso fuori, nei discorsi tra amici o all’interno dei dibattiti di studiosi e filosi, l’argomento che tratta la concezione umana di cosa sia giusto e di cosa sia sbagliato. Nati con la capacità di intendere e di volere, di pensare e di riflettere, abbiamo sviluppato negli anni una, fra molte virgolette, morale comune, seguita più o meno dalla maggior parte della popolazione e che permette ai suoi utilizzatori di vivere in una, così detta, serenità. Ma spesso, questo nostro sistema creatosi con il susseguirsi di migliaia di anni e soprattutto di migliaia di errori, si piega davanti al nostro egoismo. Lo so che è un argomento abbastanza complesso da trattare e sicuramente non dovrebbe trovarsi all’interno di una semplice recensione come questa: Ma, Oneshot, il gioco che ti sto per raccontare, tratta finemente, tra le sue righe, di questo abbastanza analizzato e molto discusso tema. Neppure nelle sembianze di Dio, riuscirerai a stabile cosa sia davvero giusto e cosa sia davvero sbagliato.
Che cosa è davvero giusto e cosa è davvero sbagliato?
Oneshot inizialmente nasce come freeware, cioè come gioco gratuito, sviluppato nell’arco di circa un mese, dai due sviluppatori Eliza Velasquez e Casey Gu. Successivamente, dato il suo grande successo e l’esponenziale diffusione del titolo, i due sviluppatori insieme ad altri colleghi, sotto il nome di Little Cat Feet, decidono di completare l’opera e di pubblicare il gioco, grazie all’editore Degica, su Steam a pagamento nel 2016. Creato con l’utilizzo dell’ormai famosissimo engine RPG Maker, prende eccezionalmente poco spunto da Earthbound, se non per il suo stile grafico, mentre assimila molte caratteristiche e features, pur non essendoci combattimenti da affrontare, da diversi titoli come: Hyper Light Drifter per le sue ambientazioni suggestive e fantastiche, Yume Nikki per la struttura di gameplay basata su puzzle e ricerca di oggetti chiave e Il Piccolo Principe per la sua trama.
Oneshot è l’unione di più svariati videogiochi
Ed è proprio la trama di Oneshot ad essere una delle 2 colonne portanti del titolo, permettendo al gioco di brillare come, a mio avviso, pochi del suo genere creati fino ad ora. La tua avventura inizierà con Niko, un ragazzo metà uomo e metà gatto, che si risveglierà all’interno di un mondo colpito da incombente rovina causata dalla scomparsa, avvenuta ormai molti anni prima, del sole che si trovava sulla cima della Torre al centro del continente. Questo particolare continente è suddiviso principalmente in 3 aree ben distinte: nella sezione più esterna troviamo I Barrens, in cui si celano paesaggi desertici simili al suolo lunare, ma ricoperti per la maggior parte da detriti e resti di robot ormai non più funzionanti. Più internamente troviamo invece il Glen una distesa landa di inondate paludi e foreste formate da alberi di fosforo, in cui risiedono ominidi con sembianze di uccello. Infine al suo centro abbiamo il Refuge una metropoli sovrappopolata con passaggi rialzati, luci sgargianti e accecanti neon viola, molto simili alle ambientazioni cittadine di CyberPunk. Ed è proprio al centro di tutto ciò che troviamo la Torre, dove un tempo risiedeva il trono del , almeno così credevano, intramontabile sole, che forniva energia e vita a quelle radiose terre, ma che ora sopravvivono solo grazie alla grande quantità di fosforo presente sulle sue terre, che crea una flebile luce e fornisce qualche briciola di energia. Lo scopo di Niko,una volta svegliatosi in questo mondo e una volta trovato, il “nuovo sole”, cioè una lampadina che terrà quasi sempre tra le mani, sarà quello di essere accompagnato grazie al tuo aiuto, fino alla torre, passando per tutte e tre le aree del continente, per restituire la vita e ridare la luce a quei territori oscurati da quel destino avverso. Una storia studiata nei minimi dettagli che permette al giocatore di creare con il protagonista una sorta di sintonia che ti accompagnerà durante tutto l’arco dell’avventura e che ti farà sentire molto vicino al protagonista. Un uso geniale di meccaniche di trama che permetteranno di forgiare questo tuo legame con Niko e di farti pesare ogni scelta che compirai… perfino chiudere il gioco… e non lo dico esagerando, non punto ad esaltare eccessivamente la già splendida trama e la complessa strutturazione del gioco.
Dovrai accompagnare Niko nel suo viaggio per salvare questo mondo ormai in rovina
A sorreggere il titolo, oltre alla trama, troviamo la sua seconda colonna portante cioè la rottura della quarta parete, ma utilizzata in mondo non geniale, di più! Questa rottura della quarta parete, non avverrà unicamente tramite dialogo diretto con il giocatore, riconosciuto come tale dal gioco e dai personaggi, ma si presenterà anche come forma fisica all’interno del tuo pc! Non voglio assolutamente spoilerare nulla e sicuramente potrò sembrare troppo eccessivo, ma quando vi dico che questa rottura fisica della quarta parete, qui su Oneshot, ha provocato in me una pelle d’oca, che praticamente mai avevo provato in un gioco, scaturita soprattutto dalla incredibile ingegnosità con cui è stata sfruttata, non sto esagerando! Potrei essere uno di quei giocatori che si impressiona per poco, probabilmente è così, ma ti garantisco che quello che dico è vero! Le uniche parole che mi vengono in mente per descrivere lo splendito e originale utilizzo di questa rottura della quarta parete sono geniale, geniale, geniale!
Insieme alla sua trama, la rottura della quarta parete è la colonna portante di questo titolo
Se invece dovessimo parlare del gameplay, lo definirei invece come un accompagnatore, un elemento che non è fondamentale ma sicuramente da tenere in attenta valutazione, considerando che spesso esso si unirà alla già citata ingegnosa rottura della quarta parete. Se da una parte il gameplay del gioco si baserà fondamentalmente, nella ricerca e nell’ottenimento di determinati oggetti chiavi utili per il proseguimento della tua avventura e nella risoluzione di divertenti puzzle come spostare delle capre dentro delle fosse, dall’altra parte all’interno dello stesso gameplay, capirai come, non solo quel mondo fantastico sarà il luogo in cui potrai cercare indizi e dovrai, in un modo molto particolare di cui ovviamente non farò parola, cercare di andare oltre la logica comune dei soliti videogiochi. A tutto ciò si unisce un buon comparto sonoro e una musica ad 8 bit, che permette, nel miglior modo possibile, di trasmettere ogni singola emozione della scena o del luogo in cui ti trovi, intonandosi perfettamente con la sua grafica Pixel Art, carina e piena di dettagli.
Un gameplay semplice, ma non per questo incredibilmente innovativo
Come ormai ribadisco in ogni mia recensione, nulla è perfetto e mi ritrovo anche ora, con mio grande rammarico , a doverti esporre i problemi che ho percepito nel giocare questo splendido titolo. Il gioco è essenzialmente basato sull’esplorazione e sulla ricerca ed è quindi inevitabile che il backtracking si palesi frequentemente nel corso della storia, ma il titolo presentando queste mappe molto estese e ampie, porteranno il giocatore a perdersi molto facilmente. Non sarò sicuramente un genio, ma a mio avviso il gioco pecca di orientazione e mostra una, a volte più frequente a volte meno, dispersività generale in cui dimenticherai dove sei o non sei passato oppure capiterà di prendere una strada del tutto sbagliata per poi dover tornare indietro e cercare quella giusta. Un altro piccolo difetto che il gioco presenta soprattutto nelle prime ore di gioco è la complessità nei comandi. Ti ritroverai a premere duecento volte tasti diversi per poi pigiarne altri e cosi via, senza che tu abbia effettivamente fatto niente.
Un mondo forse un po’ dispersivo e comandi un po complicati
Tralasciando davvero questi due difetti, Oneshot è un’esperienza sicuramente unica, dalla durata di circa 7/8 ore, che implementa all’interno del gameplay delle meccaniche mai viste nella mia carriera videoludica e riesce a farti diventare davvero amico di un personaggio che nemmeno esiste. Ma oltre al divertimento OneShot mette davanti al giocatore anche una scelta morale, una scelta morale talmente pesante e logorroica che persino Dio avrebbe difficoltà a prendere, figurati un essere umano. Ma ricorda che in tutto questo hai una sola possibilità.
L’H700i è un case Premium di NZXT della famiglia H, che rispetto a tanti altri case, oltre all’estetica, racchiude molte altre features, che adesso andiamo a vedere insieme nel dettaglio. Partiamo quindi ad analizzare i materiali, che sono parte fondamentale in un case.
Materiali e Qualità
Essendo un case premium (e visto anche il prezzo) è normale aspettarsi una buona qualità nei materiali, e sotto questo punto di vista saremo soddisfatti in pieno. Infatti troviamo praticamente solo alluminio e vetro temperato, eccetto per i filtri anti-polvere posti di fronte alle ventole, che sono realizzati in plastica, come anche qualche guida per il cable management posta sul retro. Perfino le gabbie per gli HHDs e SSDs sono realizzati in metallo e con un intelligente meccanismo di blocco, con il quale si può velocemente montare gli slot, senza dover per forza utilizzare viti e cacciaviti. Anche il pannello frontale in vetro temperato è ben realizzato, e il coperchio posteriore che nasconde il cable management non ha viti ma uno sblocco con molla per smontarlo e rimontarlo molto velocemente.
Estetica e AirFlow
Anche l’occhio vuole la sua parte, ed in questo caso de gustibus non disputandum est. Ma volendo essere oggettivi, oltre ad essere accattivante, non si notano imperfezioni, ma soltanto un design estremamente minimalistico e pulito, come tutte le serie di NZXT. Spigoli accentuati e un look cubico che è un buon compromesso fra uno stile gaming e uno professionale. Insomma, una giusta via di mezzo che potenzialmente potrebbe essere ciò che un utente cerca durante la progettazione di una nuova postazione, ma non vuole esagerare troppo con design da gaming estremi. Molto interessante in questa versione del case è l’Airflow: le ventole frontali non hanno una presa d’aria diretta, ma bensì un coperchio che convoglia l’aria ad una rete in metallo posta su entrambi i lati del case, sia frontalmente che nella parte superiore. Essendo un case Mid-Tower, ciò non va ad inficiare sulle prestazioni, poiché lo spazio è molto ampio, e la quantità d’aria scambiata fra l’esterno e l’interno è molta.
I/O
Per quanto riguarda le porte pre-allestite, troviamo due USB 2.0, due USB 3.1, porta jack audio, porta jack mic ed il tasto di accensione. Il tutto posto sulla parte superiore del case. Il pulsante di accensione è circolare e retroilluminato da un led bianco.
Ventole e LED RGB
Altra peculiarità di questo case sono i LED RGB: troviamo infatti una striscia di led rigida fisicamente avvitata nella parte metallica superiore in prossimità del vetro temperato, inoltre una striscia extra magnetica. Questa, essendo appunto magnetica, la si può attaccare potenzialmente ovunque all’interno del case, per poterlo personalizzare il più possibile, ad esempio per illuminare una specifica zona delle componentistiche. In dotazione troviamo poi la ventola posteriore (da 140mm) e le 3 ventole anteriori (da 120mm). Inoltre sulla parte superiore del case troviamo l’alloggio per inserire altre 3 ventole da 120mm o 2 da 140mm, ove si può anche tranquillamente montare un radiatore a liquido AIO o Custom Loop.
Features originali
Le ventole e i LED sono controllati da un dispositivo intelligente, che troviamo già in dotazione. Questo, oltre ad offrire la possibilità di aggiungere più ventole o led grazie ai più splitter, si può gestire direttamente dal software CAM di NZXT. Questo software, oltre a dare la possibilità di gestire singolarmente i componenti, è dotato anche di intelligenza artificiale. Tramite questa, dopo aver eseguito la procedura di “rodaggio”, si potrà abilitare un profilo dinamico della gestione dell’airflow e delle temperature. Durante il rodaggio il software andrà a registrare le prestazioni paragonate alle temperature, ed in base alle statistiche rilevate, monitorerà e gestirà tutto l’airflow in maniera intelligente, portando una diminuzione sensibile delle temperature in-gaming o in situazioni dove la macchina è sotto stress. Inoltre questo monitoraggio può interagire con i led, andando ad esempio a cambiarne i colori quando la macchina è appunto sotto stress. Utile? L’airflow in questo case Mid-Tower è già sufficiente di natura per gli spazi… una gestione così avanzata porta sì vantaggi, ma non così tanti a mio parere… e i numeri parlano chiaro, come si può vedere anche direttamente dal software che ci mostra la differenza fra un profilo standard e quello con intelligenza artificiale. Altra feature da considerare, oltre al fatto che è super allestito per quanto riguarda supporti e slot per inserire SSD praticamente ovunque, è sicuramente il sistema di cable management: raramente si vedono sistemi simili, e grazie ai numerosi velcri e guide per i cavi è praticamente impossibile creare disordine all’interno del case.
Consigli & Valutazioni personali
Partendo dal presupposto che il design piaccia, è sicuramente un case di fascia alta dove niente è fatto per caso, ogni spazio è ben studiato e di ottima fattura. Visto il prezzo (200€ circa sul mercato italiano) è il minimo che ci si possa aspettare. è sicuramente un case che richiede poco lavoro durante la fase di montaggio poiché tantissime cose sono state già predisposte o studiate in modo tale da non dover impazzire per assemblarle, oltre ad essere molto personalizzabile. Molto consigliato nel caso in cui si vada a creare una configurazione top dove non si vuole chiudere occhio su nulla. Nel caso in cui si voglia creare una configurazione più “umile”, anche della stessa NZXT, si trovano tanti altri case a prezzi più onesti, con i quali si può ottenere lo stesso risultato senza dover investire così tanto.
Tabella delle specifiche tecniche
Dimensioni
P: 230 mm A: 494 mm P: 494 mm (senza piedini) P: 230 mm A: 516mm P: 494 mm (con piedini)
Materiale(i)
Acciaio SECC e vetro temperato
Peso
12,27 kg
Supporto per scheda madre
Mini-ITX, MicroATX, ATX e EATX (fino a 272 mm o 10,7 pollici)
Elettronica esterna
2 x USB 2.0 2 x USB 3.1 Gen 1 1 x Audio/Mic
Filtri
Anteriore e ventilazione alimentatore
Slot di espansione
7
Dispositivo intelligente
3 canali ventola con massimo 10 watt per uscita canale* 1 porta LED RGB supporta fino a 4 strisce LED Gen 1 RGB o 5 ventole Aer RGB Modulo di rilevamento del rumore integrato *Nota: se viene utilizzato uno splitter, il controllo ventola viene regolato in base alla ventola collegata alla porta a 4 pin. Non utilizzare adattatori a basso rumore.
Requisiti del sistema
PC con porta USB 2.0 interna aperta e sistema operativo Windows® 10. Per scaricare CAM, è richiesta una connessione a Internet.
Alcune funzionalità CAM richiedono l’accesso a Internet, un indirizzo e-mail valido e l’accettazione dei Termini di servizio correnti.
Alloggiamenti unità
2,5”: 7 3,5”: 2+1
Supporto radiatore
Anteriore: 2 da 140 mm o 3 da 120 mm con configurazione “push/pull” Superiore: 2 da 140 mm o 3 da 120 mm
Sistema di raffreddamento
Anteriore: 3 da 120 mm/2 da 140 mm (inclusi 3 da 120 mm) Superiore: 3 da 120 mm/2 da 140 mm Posteriore: 1 da 120 mm/1 da 140 mm (incluso 1 da 140 mm)
Durante la nuova presentazione del 20 aprile, Apple ha fatto vedere nuovi ed innovativi prodotti. Partiamo subito con il nuovo AirTag: AirTag invia un segnale Bluetooth sicuro che può essere rilevato dai dispositivi nelle vicinanze in “Trova la mia rete”. Questi dispositivi inviano la posizione del tuo AirTag ad iCloud, quindi puoi andare all’app “FindMy” e vederlo su una mappa. L’intero processo è anonimo e crittografato per proteggere la tua privacy. Ed è efficiente, quindi non devi preoccuparti della durata della batteria o dell’utilizzo dei dati. Semplice e sicuro, dotato di un comodo portachiavi è possibile acquistarlo dal 30 di Aprile a 29$ singolarmente oppure con i bundle da 4 dispositivi per 99$.
Successivamente è stato presentato anche il nuovo Ipad Pro in due diverse dimensioni da 11″ e 12.9″(quest’ultimo con Liquid Retina XDR). I vari modelli saranno acquistabili con capacità da 128Gb/256Gb/512Gb/1TB/2TB e avranno: Chip Apple M1 CPU a 8 core con 4 core ad alte prestazioni e 4 core ad alta efficienza Motore neurale a 16 core 8 GB di RAM sui modelli con 128 GB, 256 GB o 512 GB di spazio di archiviazione 16 GB di RAM sui modelli con 1 TB o 2 TB di spazio di archiviazione. Sarà possibile registrare video in 4k a 60fps senza nessun tipo di problema con l’autofocus e il tracciamento automatico del viso. I prezzi si aggirano attorno ai 799$ per 11″ e 1099$ per 12.9″
Passiamo poi all Apple TV 4k; presentato in due diverse capacità (da 32Gb e 64Gb) viene venduto assieme al telecomando, ridimensionato e riadattato alle esigenze del cliente. Infatti potremmo semplicemente controllare tutto da remoto grazie a: Tecnologia wireless Bluetooth 5.0 Trasmettitore IR Connettore Lightning per la ricarica Batteria ricaricabile che fornisce mesi di durata della batteria con una singola carica (con un utilizzo quotidiano tipico) Ricarica tramite USB al computer o adattatore di alimentazione (venduto separatamente) Controlla la TV o il ricevitore tramite IR o CEC 3
Per quanto riguarda le uscite abbiamo: HDMI 2.14Wi ‑ Fi 6 802.11ax con MIMO dual band simultaneo (2,4 GHz e 5 GHz) FiloGigabit Ethernet Tecnologia wireless Bluetooth 5.0 Ricevitore IR Alimentatore incorporato
Per il prezzo della nuova tv ci aggiriamo intorno ai 179$ per la versione da 32gb, mentre 199$ per quella da 64gb.
Ultimo ma non per importanza è stato presentato il nuovo iMac da 24″ con 4.5K di risoluzione display. Sarà disponibile come tutti i nuovi prodotti dal 30 Aprile con diverse capacità di archiviazione (da 256 Gb o da 512Gb) All’interno avremo: Chip M1 CPU a 8 core con 4 core ad alte prestazioni e 4 core ad alta efficienza GPU a 7 core Motore neurale a 16 core Fotocamera FaceTime HD 1080p con processore del segnale di immagine M1 Sistema a sei altoparlanti ad alta fedeltà con woofer a cancellazione di forza Ampio suono stereo Supporto per audio spaziale durante la riproduzione di video con Dolby Atmos Tre microfoni di qualità da studio con elevato rapporto segnale / rumore e beamforming direzionale Supporto per “Hey Siri”
Per quanto riguarda invece le porte sul retro dello schermo, ci saranno due porte Thunderbolt / USB 4 con supporto per: DisplayPort Thunderbolt 3 (fino a 40 Gb / s) USB 4 (fino a 40 Gb / s) USB 3.1 Gen 2 (fino a 10 Gb / s) Thunderbolt 2, HDMI, DVI e VGA supportati tramite adattatori (venduti separatamente)
Assieme al iMac Pro verrano venduti anche il Magic Mouse e la Magic Keyboard, l’ adattatore da 143W, cavo da 2 metri e Cavo da USB-C a Lightning. Per quanto riguarda il prezzo avremo la possibilità di potere scegliere: 1299$ per la versione basica da 256Gb 1499$ per la versione da 256Gb con due uscite USB 3.0 aggiuntive ed il Touch Id sulla tastiera ed una porta per il Gigabit Ethernet 1699$ per la verisione da 512Gb con le due uscite USB 3.0 aggiuntive ed il Touch Id sulla tastiera ed una porta per il Gigabit Ethernet.
MSI ha da poco presentato il suo nuovissimo Summit E15, un laptop di classe business che racchiude in soli 1,6 kg di scocca un processore Intel Core i7 di 11° generazione, nel particolare un Tiger lake i7-1185G7, 4 core e 8 thread, con una frequenza base di 3.00 GHz che sfiora i 4,80 GHz in Turbo Boost, e 12 MB di cache. Il processore è dotato della scheda video integrata Intel Iris X, ma MSI ha pensato di aggiungere anche una scheda video dedicata Geforce GTX 1060Ti da 4GB in DDR6, necessaria per eseguire software grafici che richiedano prestazioni più importanti e, perchè no, anche del buon gaming. Ma andiamo a vedere nel dettaglio cosa offre questa macchina.
Materiali / Finiture
La prima cosa che notiamo è il materiale in alluminio della scocca. Lo chassis è veramente sottile e estremamente leggero, molto piacevole al tatto e permette una buona dissipazione del calore. Il colore grigio scuro lo rende veramente elegante, e rispecchia tutto ciò che si possa volere da un laptop di classe business. Molto accattivanti anche le finiture in bronzo che contornano il touchpad, ma anche la finitura in simil-carbonio posta sopra le prese d’aria del dissipatore. Interessante il fatto che si possa inclinare il coperchio del monitor di 180°, e che non sia necessario sorreggere con la mano la parte inferiore per aprirlo. Per quanto riguarda la tastiera è retroilluminata, e restituisce un buon feedback di digitazione, inoltre i tasti sono ben distanziati fra di loro.
Note negative
Unica cosa che fa storcere un po’ il naso è la ‘plasticosità’ del touchpad, il quale è ridotto nelle dimensioni rispetto a cosa siamo abituati a vedere nei nuovi portatili di ultima generazione, e nell’utilizzo di tutti i giorni restituisce un feedback leggermente cheap, che sinceramente non mi aspettavo da una macchina di questo livello. Altra cosa che può dare fastidio è il fatto che sulla scocca tende a rimanere le impronte delle dita quando lo si tocca, soprattutto nella parte inferiore sotto la tastiera, quando si digita e si appoggia i palmi delle mani, spesso dopo rimangono gli aloni, cosa che esteticamente non è molto gradevole.
Monitor
Il monitor in questione è un 15.6″ UHD (3840*2160), 4K Thin Bezel, Adobe 100%, con tecnologia TruePixel che include un alto ratio di DPI, cosa che lo fa somigliare molto ai Retina Display di Apple. Molto gradevole nell’utilizzo, con colori veramente vividi, e ottimo anche per l’utilizzo di software grafici e di video editing. Inoltre avendo una diagonale così piccola ma una risoluzione decisamente alta, è praticamente impercettibile all’occhio umano la dimensione dei singoli pixel. Molto interessante anche il gamut Adobe 100%, che assicura un ottimo spazio di colori. Esiste anche un’altra versione di questa macchina, con schermo multi-touch da 1080p, che personalmente non ritengo utile per farne un uso professionale.
Porte I/O
Il Summit E15 è dotato di:
2 Porte USB 3.2 di tipo A
1 lettore di card MicroSD
1 porta jack 3,5mm audio/mic
1 HDMI 4K 60Hz
2 Porte USB Type-C Thunderbolt 4.0
Generalmente le porte in dotazione sono sufficienti ad un utilizzo per tutti i giorni, infatti l’unica cosa che potrebbe mancare è la porta Ethernet (per questioni di spazio), ma grazie alle Thunderbolt si può facilmente collegare dei dongle, e quindi aggiungere qualsiasi tipo di porta necessaria al nostro workflow. Inoltre le due USB-C sono entrambe dotate di tecnologia PowerDelivery, e quindi si può ricaricare il portatile indifferentemente dalla porta scelta, con il suo alimentatore da ben 90Watts che permette anche la ricarica rapida.
Archiviazione e RAM
Troviamo allestita una SSD da 1TB NVMe, veramente ottima nella velocità sia in lettura che scrittura. Infatti ciò si nota anche semplicemente nell’avvio o nello sblocco dallo stato di stand-by, che avviene praticamente in tempo reale. Inoltre la quantità di archiviazione da 1TB è veramente soddisfacente. Per quanto riguarda la RAM troviamo 32GB in DDR4 da 3200 MHz, suddivisi in 2 banchi da 16GB. Veramente ottima, e ci permette tranquillamente di utilizzare software pesanti, e di tenerne aperti molteplici contemporaneamente senza incappare in scomodi rallentamenti.
Batteria & Consumi
La batteria in dotazione integrata e non sostituibile è da ben 80Wh, 16 ore di utilizzo dichiarate, dotata di ricarica rapida, e grazie al software MSI Center for Busniess & Productivity si può andare a gestire i consumi in maniera intelligente. Infatti all’interno di questo programma proprietario troviamo ben 4 scenari diversi che vanno a limitare o aumentare le prestazioni in base a ciò che necessitiamo in quel momento. In modalità “bilanciata” comunque si arriva tranquillamente a fine giornata senza dover per forza ricaricare il laptop più di una volta, facendone ovviamente un utilizzo “da ufficio”, senza eseguire software pesanti a livello grafico.
Sblocco & Sicurezza
Molto interessanti i sensori che MSI ha allestito su questo portatile, infatti troviamo sia il sensore di impronte digitali posto nella parte superiore sinistra del touchpad, sia il sensore Infrarossi per il riconoscimento facciale posto accanto alla webcam. Entrambi i sensori sono compatibili con lo standard Fido2 e quindi utilizzabili con WindowsHello. Sono veramente rapidi nel riconoscimento, infatti nell’utilizzo quotidiano si tende a scordarci di inserire la password, poiché appena si apre il coperchio il laptop ci riconoscerà veramente istantaneamente.
Webcam
La webcam allestita è da 720p… che dire, mi aspettavo qualcosina di più, sopratutto di questi tempi, dove le call di lavoro sono cosa veramente frequente, e per quanto costa questa macchina una 1080p sarebbe stato il minimo, a mio modesto parere.
Considerazioni finali
Volendo esprimere un mio parere personale, dando per scontato che se ne faccia un utilizzo professionale, questa macchina è veramente ottima, e rispetta tutti i canoni e requisiti che si possa richiedere da un prodotto di questa fascia. Lo sblocco è immediato grazie ai sensori di riconoscimento, la fluidità generica del sistema è veramente di alto livello anche sotto stress, e non arranca se si utilizzano software pesanti. Lo si porta tranquillamente a giro, visto il peso veramente minimo e le dimensioni ridotte. L’autonomia è soddisfacente e l’estetica è molto accattivante. Unica nota che non mi ha convinto per niente è il touchpad… ne potevano allestire uno migliore, stesso discorso vale anche per la webcam. Acquisto consigliato? Si, ma dipende: visto il prezzo (si trova dai 2000 ai 2500€) è un’ottima macchina per l’uso professionale, ma se dovete farne un utilizzo ‘da ufficio’ (navigare sul web, mail, pacchetto office, etc.) sul mercato si trovano prodotti che possono soddisfarvi senza dover per forza investire così tanti soldi.
Dove acquistare
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L’approccio di Bethesda al mondo VR attualmente è costellato di adattamenti. Dopo un Doom (2016) adattato alla realtà virtuale, e dopo The Elders Scrolls: Skyrim VR, ora è toccato a Doom 3, storico capitolo del famosissimo franchise del Doom-Marine. Forse il capitolo che meglio pareva potersi sposare con la realtà virtuale, Doom 3 si scontra però con un adattamento che ne limita molte delle potenzialità. Ma andiamo con ordine.
Doom 3, originariamente uscito nel 2004, fu un enorme successo di critica e pubblico. Riproposto varie altre volte sulle nuove console nel corso degli anni, il gioco ha sempre continuato a convincere. L’approccio scelto da Id Software per il titolo, meno adrenalinico ma più votato all’horror-action, con una grande attemzione data alla fase esplorativa e alle ambientazioni, aveva rilanciato fortemente il franchise del Doom-guy agli inizi del nuovo millennio. Anche confrontandolo con i meravigliosi ultimi capitoli del franchise, Doom 3 rimane comunque un ottimo titolo, e sopratutto un’esperienza differente rispetto agli altri capitoli della saga. La scelta di adattare questo titolo alla realtà virtuale quindi, data l’enorme mole di successo riscossa da Doom Eternal, pareva logica e interessante, ma si è scontrata con alcuni problemi non indifferenti.
Fonte: Id Software
Il gioco di per sè rimane estremamente convincente: longevo e profondo, Doom 3 VR – che ricomprende anche le espansioni Resurrection of Evil e The Lost Mission – risulta ancora divertente ed appasionante, grazie alla sua formula ben rodata e perfezionata, che non sfigura a più di 15 anni dalla sua uscita. La possibilità di esplorare le occlusive e soffocanti strutture d Mars City utilizzando un visore VR aumenta notevolmente il senso di ansia che proviamo nel corso della partita, e ogni scontro che affronteremo sarà più immersivo e terrificante che mai. Alcune aggiunte di gameplay poi, come la presenza di tutti i dati di cui avremo bisogno – salute, armatura – sul polso dominante del nostro personaggio, o la possibilità di accendere e spegnere una torcia comodamente attaccata alle nostre bocche da fuoco, sono ben accette, ed aumentano sicuramente il senso di immedesimazione che proveremo nel corso di tutta la nostra avventura. Il lavoro effettuato sull’audio del titolo poi dona al gioco una rinnovata potenza, che ci tiene sempre costantemente sulle spine. I problemi però, coinvolgono proprio l’aspetto legato all’adattamento di un titolo di quasi 20 anni fa, ad una periferica nuova e molto differente dal classico gioco su televisore/monitor.
Innanzitutto, il movimento della visuale è decisamente macchinoso e ciò risulta essere un grande problema, considerando la nostra costante necessità di guardarci attorno per rispondere alle minacce presenti. Si può optare per una formula che permette di avere degli scatti regolabili, di circa 15 gradi di visuale, o una modalità libera che però viene afflitta costantemente da un cono d’ombra se si decide di ruotare la visuale troppo rapidamente. Il risultato, in entrambi i casi, è un costante senso di spaesamento, che rende davvero poco godibile l’esperienza generale. Disattivare la “vignettatura” della visuale inoltre è possibile, ma aumenta vertiginosamente il senso di malessere legato alla motion sickness, rendendomi impossible usufruire di un titolo già molto complicato per il sottoscritto, perciò fra i due mali è stato scelto quello minore. Inoltre, al giocatore non verrà permesso di utilizzare i controller Playstation Move se non attraverso la periferica Playstation Aim, che naturalmente non tutti possiedono; in alternativa, il giocatore potrà utilizzare il sensore di movimento del controller, con risultati poco soddisfacenti. L’utilizzo del controller e del suo sensore di movimento costringe ad una serie di movimenti poco comodi e non precisi, portando il numero di colpi sbagliati a salire vertiginosamente in pochissimo tempo; l’utilizzo del Playstation Aim invece migliora la precisione ma, come accade spesso in queste riconversioni, costringe a tenere delle posizioni innaturali e faticose, che sfiancano e non riescono a trasmettere un feedback convincente ed immersivo. Dal lato motion sickness invece, che rimane un aspetto assolutamente soggettivo (e considerando ahimè la mia pesante sofferenza della suddetta) Doom 3 VR personalmente è stato un lungo patire: a differenza di tanti altri titoli moderni in VR, che presentano delle caratteristiche di gameplay che vengono incontro a noi, poveri giocatori dallo stomaco debole, Doom 3 Vr ripropone la (quasi) identica esperienza del 2004, ed il mio stomaco non si è ancora ripreso.
Fonte: Id Software
In conclusione, Doom 3 VR per Playstation VR non è un titolo insufficiente, perchè quando tutto va per il verso giusto, il gioco funziona. Il problema è che questi momenti sono pochi, e spesso intervallati da situazioni in cui dovremo muoverci affannosamente per cercare di confrontarci con le minacce in arrivo e combattere contro i problemi di telecamera. In un particolare momento storico in cui gli FPS in realtà aumentata offrono delle esperienze davvero convincenti, come l’ottimo Blood and Truth, sempre per PlayStation VR, o il Half Life Alyx per PC, Doom 3 VR risulta essere solamente un lavoro di conversione sicuramente godibile, ma pigro e poco ispirato, salvato solo dalla indiscutibile qualità del titolo che viene adattato, dalla presenza di entrambi i DLC – che allungano la longevità di un titolo già lungo tra le 11 e le 15 ore da solo – e dal prezzo di vendita, appena 19,99 euro. Per molti fan del brand, questa esperienza sarà meravigliosa e permetterà di riscoprire con nuovi occhi un titolo famoso e molto apprezzato, ma l’impressione che si ha, è che ci si sia limitati ad eseguire un diligente compitino, sicuramente sufficiente, ma che manca di quel pizzico di coraggio in più che avrebbe permesso al gioco di rinnovarsi davvero.